I contatti tra don Vito e i carabinieri del Ros


21Costituisce fatto accertato ed incontestato anche da parte degli imputati che, all’indomani della strage di Capaci, i Carabinieri del R.O.S., nella specie nelle persone degli odierni imputati Subranni, Mori e De Donno, abbiano deciso di “agganciare” Vito Ciancimino.
Ai fini della ricostruzione dei conseguenti contatti tra i predetti Carabinieri, la Corte, non intendendo in alcun modo utilizzare il racconto di Massimo Ciancimino per le ragioni sopra esposte nella Parte Seconda della presente sentenza, si avvarrà esclusivamente di quanto risulta dalle dichiarazioni, orali o scritte, dei protagonisti dei contatti medesimi comunque acquisite nel presente
processo ed esaminerà le stesse alla luce anche delle altre acquisizioni dibattimentali, iniziando dalle risultanze del primo processo che ha affrontato i temi qui in esame, quello tenutosi a Firenze per le stragi del 1993, peraltro, a sua volta, in gran parte fondate sulle testimonianze rese in quella sede dagli odierni imputati Mori e De Donno.
[…]  Nella sentenza n. 3/98 pronunziata dalla Corte di Assise di Firenze il 6 giugno 1998 (doc. 50 della produzione del P.M. all’udienza del 26 settembre 2013), per la parte che qui rileva, si legge:
“Mario Mori. Il gen. Mori ha riferito che nel 1992 era a capo del reparto Criminalità Organizzata del ROS. Fu nominato vice-comandante del ROS ai primi di agosto del 1992. Dopo la strage di Capaci colse lo sconcerto dell’opinione pubblica, degli organismi istituzionali e degli stessi investigatori per la realtà di un fenomeno, quello mafioso, che molti cominciavano a considerare “indebellabile “, perché insito nella cultura di una determinata zona del territorio nazionale. Ritenne perciò suo dovere morale e professionale fare qualcosa. La prima iniziativa che prese fu quella di costituire un gruppo speciale di operatori destinato alla ricerca del capo di “cosa nostra” (Riina).
Un ‘altra iniziativa di ricercare ”fonti, spunti, notizie” che potessero portare proficuamente gli investigatori all’interno della struttura mafiosa. Parlò di quest’idea col capitano Giuseppe De Donno, suo dipendente, al quale rappresentò la necessità di ricercare una fonte di alto livello con cui
interloquire. Il De Donno gli parlò della familiarità che aveva col figlio di Vito Ciancimino, a nome Massimo, nata nel corso del dibattimento di I grado svoltosi contro il padre. Infatti, ha precisato, Vito Ciancimino era stato prima arrestato e poi portato a giudizio al termine di un ‘indagine che riguardava la manutenzione strade ed edifici scolastici della città di Palermo, condotta dal Nucleo Operativo del Gruppo di Palermo, cui era addetto il sunnominato capitano De Donno. Ciancimino fu giudicato e condannato a otto anni di reclusione per associazione a delinquere semplice, abuso d’ufficio, falso e altro.
Il De Donno suggerì di sji-uttare la familiarità che aveva con Massimo Ciancimino per tentare un avvicinamento al padre, che era, all’epoca, libero e residente a Roma. Egli lo autorizzò a ricercare “il contatto “. In effetti, ha proseguito, nel giugno del 1992, dopo la strage di Capaci e prima di quella di via D’Amelio, ci fu un primo incontro tra De Donno e Massimo Ciancimino, all’esito del quale De Donno si incontrò con Vito Ciancimino. A quest’incontro ne seguirono altri successivi (due-tre in tutto), alcuni dei quali si svolsero anche a cavallo della strage di via D’Amelio. Lo scopo di questi incontri era quello di avere da Ciancimino qualche spunto di tipo investigativo che portasse alla cattura di latitanti o, comunque, alla migliore comprensione del fenomeno mafioso (“De Donno andò a contattare Ciancimino per vedere di capire e di avere qualche notizia, qualche informazione, qualche spunto, di tipo investigativo ”).
Il dialogo tra i due si allargò e investì la stessa “Tangentopoli” e le inchieste che li avevano visti protagonisti (De Donno come investigatore; Ciancimino come persona sottoposta ad indagini). In uno di questi incontri Ciancimino fece a De Donno una strana proposta, che il teste così riferisce: “lo vi potrei essere utile perché inserito nel mondo di Tangentopoli, sarei una mina vagante che vi potrebbe completamente illustrare tutto il mondo e tutto quello che avviene “. Questo fatto convinse De Donno che il Ciancimino fosse disponibile al dialogo.
Per questo fece in modo che si incontrassero lui (Mori) e Ciancimino. Egli entrò in campo, ha spiegato, perché, quando si manifestò, concretamente, la possibilità di avere un rapporto con Ciancimino, comprese che questi “non era la solita fonte informativa da quattro soldi”, ma un
personaggio che non avrebbe accettato di trattare con altri che non fossero dei capi. Per questo si rese visibile anche lui, oltre che per fornire sostegno psicologico e morale al De Donno. Invero, incontrò per la prima volta Vito Ciancimino nel pomeriggio del 5-8-92 a Roma, in via di Villa Massimo, dove il Ciancimino abitava (nota n. 1642: Il gen. Mori si è rivelato sicuro sulle date
perché, ha detto, conserva l’agenda del 1992, dove sono segnati appunti che l’hanno aiutato nella memoria. Copia delle pagine dell’agenda del 5 agosto, ma anche delle giornate successive (di cui si dirà) sono state prodotte all’udienza del 24-1-98 (vedi faldone n. 32 delle prod. dib.).
Parlarono, in generale, di molte cose, soprattutto della vita palermitana (Ciancimino era palermitano ed egli aveva comandato il Gruppo Carabinieri di Palermo per quattro anni).
Ciancimino gli chiese anche notizie sui suoi diretti superiori. Egli fece il nome del gen. Subranni. Ciancimino mostrò di ricordarsi di lui (il gen. Subranni aveva diretto il Nucleo Investigativo di Palermo) e manifestò ammirazione per la sua sagacia investigativa. Quando fece rientro in ufficio accennò al gen. Subranni di quest’incontro e lo commentarono insieme. Ebbe il secondo incontro con Ciancimino il 29-8-92, sempre a casa di quest ‘ultimo. A quell’epoca, ha precisato, sapeva che Vito Ciancimino aveva una posizione “non brillantissima” dal punto di vista giudiziario, giacché gli era stato ritirato il passaporto e prima o poi sarebbe dovuto rientrare in carcere (evidentemente, per scontare una condanna definitiva). Per questo sperava che il Ciancimino facesse delle aperture (”Noi speravamo che questo lo inducesse a qualche apertura e che ci desse qualche input ”). Perciò, riprendendo il filo del discorso avviato da De Donno (quello sugli appalti), disse a Ciancimino: “Ma signor Ciancimino, ma cos’è questa storia qua? Ormai c’è muro contro muro. Da una parte c’è Cosa Nostra, dall’altra parte c’è lo Stato? Ma non si può parlare con questa gente?” La buttai lì convinto che lui dicesse: ”cosa vuole da me colonnello?” Invece dice: ”ma, sì, si potrebbe, io sono in condizione di farlo”. E allora restammo … dissi: ”allora provi”. E finì così il secondo incontro, per
sintesi ovviamente”. Nel corso di quest’incontro, o di quello precedente, fecero qualche accenno ai guai giudiziari di Ciancimino. Si rividero 1’1-10-92, ancora a casa di Ciancimino. In questo terzo incontro Ciancimino disse di aver preso contatto con i capi di “cosa nostra”, “tramite intermediario” (di cui non gli fece il nome). Ma ecco come l’incontro viene narrato dal teste: “Allora, dice: ‘io ho preso contatto, tramite intermediario, con questi signori qua, ma loro sono scettici perché voi che volete, che rappresentate?’ Noi non rappresentavamo nulla, se non gli ufficiali di Polizia Giudiziaria che eravamo, che cercavano di arrivare alla cattura di qualche latitante, come minimo. Ma certo non gli potevo dire che rappresentavo solo me stesso, oppure gli potevo dire: ‘beh, signor Ciancimino, lei si penta, collabori, che vedrà che l’aiutiamo’. Allora gli dissi: ‘lei non si preoccupi, lei vada avanti’. Lui capì a modo suo, fece finta di capire e comunque andò avanti. E restammo d’accordo che volevamo sviluppare questa trattativa”. Ciancimino gli fece anche capire che le persone da lui contattate non si fidavano. Si rividero, sempre a casa di Ciancimino, il 18-12-92. In questa occasione Ciancimino gli disse: “Guardi, quelli accettano la trattativa, le precondizioni sono che l’intermediario sono io’ – Ciancimino – ‘e che la trattativa si svolga all’estero. Voi che offrite in cambio? “. Egli sapeva che a Ciancimino era stato ritirato il passaporto e che, pertanto, la proposta di continuare la trattativa all’estero era un escamotage del Ciancimino per mettersi al sicuro. Aveva messo in conto, ma solo come ipotesi remota, fin dall’inizio del suo rapporto con Ciancimino, che questi gli chiedesse cosa aveva da offrire. Non si aspettava, però, uno “show down” così precoce, pensando che il Ciancimino avrebbe tirato la cosa per le lunghe. Era convinto che Ciancimino avrebbe fatto qualche apertura “a livello più basso “, ma non che offrisse una disponibilità totale a fare da intermediario, come invece avvenne. Per questo venne colto alla sprovvista dalla disponibilità di Ciancimino e dalla richiesta di mettere le carte sul tavolo. Perciò gli rispose: “Beh, noi offriamo questo. I vari Riina, Provenzano e soci si costituiscono e lo Stato tratterà bene loro e le loro famiglie”. Prosegue: “A questo punto Ciancimino si imbestialì veramente. Mi ricordo era seduto, sbattè le mani sulle ginocchia, balzò in piedi e disse: ‘lei mi vuole morto, anzi, vuole morire anche lei, io questo discorso non lo posso fare a nessuno “. Quindi, molto seccamente, lo accompagnò alla porta.
Si lasciarono con la prospettiva di chiudere la trattativa “senza ulteriori conseguenze”. Ebbe la sensazione, all’esito di questo incontro, che Ciancimino avesse realmente stabilito un contatto con i capi di “cosa nostra”. Suppose anche che il Ciancimino, pressato dalla sua posizione giudiziaria, si sarebbe fatto risentire. Infatti, ha aggiunto, ai primi di novembre di quello stesso anno,
Massimo Ciancimino richiamò il cap. De Donno e gli chiese di incontrare nuovamente il padre. De Donno, con la sua autorizzazione, si incontrò, in effetti, con Vito Ciancimino (non ricorda quando). Questi gli chiese nuovamente cosa volessero in concreto e De Donno gli rispose che volevano catturare Salvatore Riina. Ciancimino si mostrò, questa volta, disposto ad aiutarli. Chiese perciò a De Donno di fargli avere le mappe di due-tre servizi (luce, acqua, gas) relative ad alcune precise zone della città di Palermo: viale della Regione Siciliana, “verso Monreale”. De Donno se le procurò presso il Comune di Palermo e gliele portò il 18-12-92. Il Ciancimino non si mostrò però soddisfatto e diede alcune altre indicazioni su ciò che gli occorreva. Il giorno dopo (19-12-92), però, Ciancimino venne arrestato. Pensava che il rapporto con lui fosse concluso, quando, qualche giorno prima dell ‘arresto di Riina (quindi, agli inizi di gennaio del 1993), fu contattato dall’avv. Giorgio Ghiron, legale di Ciancimino, il quale gli disse che il suo cliente voleva parlargli. Egli contattò
allora il Procuratore della Repubblica di Palermo, dr. Caselli, al quale raccontò tutta la vicenda precorsa.
Il dr. Caselli autorizzò un colloquio investigativo col Ciancimino. Questo nuovo incontro si svolse nel carcere di Rebibbia il 22-1-93 e ad esso partecipò, come al solito, il cap. De Donno. Il
Ciancimino si mostrò aperto alla formale collaborazione con lo Stato. 1n effetti, ha aggiunto, a partire da febbraio del 1993 il Ciancimino fu escusso dalla Procura di Palermo, alla quale spiegò che l’intermediario tra lui e i vertici di “cosa nostra” era stato il dr. Cinà, medico personale di Riina. – Il teste ha precisato di aver reso le prime dichiarazioni su questa vicenda alla Procura di Firenze il giorno 1-8-97. Inoltre, di aver annotato le date dei vari incontri col Ciancimino sulla sua agenda personale (nota n. 1643: La copia di alcune pagine dell’agenda è stata acquisita dalla Corte, su richiesta del PM).
All’epoca degli incontri di Roma, in via Villa Massimo, Ciancimino era libero. Agli incontri  partecipò sempre il cap. De Donno. Ha detto di aver informato il gen. Subranni, suo diretto superiore, del rapporto con Ciancimino, per avere un consiglio da lui, ma non perché fosse obbligato a farlo, in quanto gli ufficiali di polizia giudiziaria possono trattare autonomamente le fonti informative. Gli rese noto l’esito della discussione del 18-10-92. Ha insistito sul fatto che la
presa di contatti con Ciancimino mirava ad avere il Ciancimino come fiduciario del ROS. Ad averlo, cioè, come un confidente che, avendo una posizione giudiziaria in sospeso, sarebbe potuto divenire un collaboratore. Quindi, richiesto di spiegare in che modo e ad iniziativa di chi Ciancimino venne ad assumere il ruolo di “interfaccia “, ha dichiarato: “Ma guardi, il problema …
Ciancimino non è il solito personaggio da quattro soldi. Cioè, bisognava gestirlo sviluppando con lui un dialogo che tenesse conto anche delle sue esigenze. Perché non gli potevamo dire brutalmente: senti, Ciancimino, la tua posizione giuridica e giudiziaria è quella che è, statti attento, se vuoi evitare la galera ti possiamo aiutare. Però tu dacci … Perché mi avrebbe accompagnato
alla porta immediatamente. Perché i tempi erano diversi. Oggigiorno, forse, questo discorso brutalmente si potrebbe anche fare; nel ’92 non si poteva assolutamente fare. E allora era una schermaglia continua tra me e lui, tra lui e De Donno, in tre, cercando di cogliere … E’ stato un bel duello, possiamo definirlo così, per cercare di capire i punti in cui noi ci potevamo spingere, dove
lui accettava. Dove lui ci voleva anche portare. Perché tutto sommato, ci ha l’intelligenza per gestire qualche… Quindi, inizialmente il problema era solo, dice: va be’, ci darà qualche notizia se ci va bene; sennò ci accompagna alla porta e finisce lì. Poi, il fatto che lui si presenta come addirittura disponibile ad inserirsi in un gioco sotto copertura, quasi nell’ambito dell’attività contro l’imprenditoria mafìosa. Il fatto che dovevamo, in qualche modo, allungare il brodo … lo che gli potevo dire? Brutalmente … solo quello gli potevo dire. Gli ho detto: ‘ma lei li conosce questa gente?’ Sapevo benissimo che li conosceva, Ciancimino è di Corleone. E quindi è stato quasi portato al discorso, questo ti … E’ stato un andare insieme verso quel… Perché a noi ci conveniva, guadagnavamo tempo “. Ha detto di aver avuto in mente anche di far pedinare Ciancimino, se la trattativa fosse proseguita, per capire quali persone contattava e se le contattava.
In sede di controesame ha precisato che Ciancimino gli parlò espressamente dei “corleonesi” come suoi referenti […]. Non furono mai fatte da Ciancimino proposte concrete per la trattativa. Non sentì mai parlare di “papello “. Ciancimino non diede alcun contributo all’arresto di Riina. Secondo la sua personale opinione, se la trattativa fosse proseguita li avrebbe messi in condizione di fare un’indagine seria su Riina. Le mappe richieste da Ciancimino sono state consegnate alla Procura della Repubblica di Palermo. In esse era compresa anche la zona che fu teatro dell’arresto di Riina. Erano comprensive anche della zona in cui abitava Riina. Circa le intenzioni con cui essi iniziarono la discussione con Ciancimino ha precisato, in sede di controesame: “lo pensavo, e ritengo di
averlo espresso questo concetto, che Ciancimino avrebbe tirato alla lunga questa trattativa per vedere in effetti noi che cosa gli potevamo offrire come persona, non come soggetto inserito in una organizzazione. Cioè, ai suoi fini l’avrebbe tirata lunga, perché non ritenevo che fosse in condizione, o che volesse prendere contatto con Cosa nostra. Per cui io ritenevo che invece lui cercasse di sbocconcellarci il pane della sua sapienza, di fatti e di cose che potevano interessarci, su altri settori. Cioè imprenditoria mafiosa, appalti, polemiche relative … vicende giudiziarie relative al Comune di Palermo: ecco, questo era il settore dove io pensavo che lui andasse a finire. E quindi rimasi
sorpreso invece dall’indirizzo che lui ebbe a dare al nostro…”
… De Donno Giuseppe. Questo teste ha dichiarato di essere stato in servizio al Nucleo Operativo del Gruppo dei Carabinieri di Palermo tra il 1988 e il 1989, come ufficiale (capitano). In tale qualità effettuò una serie di indagini sulla gestione degli appalti del Comune di Palermo, all’esito delle quali furono emesse ordinanze di custodia cautelare dal GiP di Palermo a carico di Vito Ciancimino e altri personaggi. Ciancimino fu arrestato nella primavera del 1990 e condannato poi a sette o otto anni di reclusione. Ha dichiarato di essere poi passato al ROS alla fine degli anni ’90 e di essersi interessato nuovamente di Ciancimino nel 1992. Questa volta, non per sottoporlo ad indagini, ma per questi altri motivi: “Il senso in pratica era questo: era nostra intenzione cercare di trovare un canale di contatto con il Ciancimino, per tentare di ottenere da lui indicazioni utili su quanto, sui fatti storici che si stavano verificando in quel periodo. E in ultima analisi tentare di ottenerne una collaborazione formale con l’autorità giudiziaria “.
L’idea di contattare Ciancimino fu sua, perché conosceva molto bene uno dei figli di Vito Ciancimino, a nome Massimo, che aveva incontrato varie volte mentre si sviluppava l’attività investigativa sul padre e nel corso di spostamenti aerei da Palermo a Roma. Aveva anche motivo
di ritenere di non essere male-accetto a Ciancimino e alla sua famiglia, giacché si era sempre comportato con estrema correttezza nel corso dei “contatti” che aveva avuto con lui per motivi professionali. Fece presente questa sua intenzione all’allora col. Mori, comandante del reparto in cui operava, poco dopo la strage di Capaci, ed ebbe l’autorizzazione a tentare un approccio. Si
rivolse a Massimo Ciancimino, che incontrò, appunto, durante uno spostamento aereo da Palermo a Roma e avanzò la sua richiesta di essere ricevuto dal padre. Incontrò, in effetti, Vito Ciancimino nella di lui abitazione romana, due tre volte, tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio. Prese il discorso alla larga, facendo intendere che ricercava elementi di valutazione rispetto a ciò che
stava accadendo, in quel periodo, in Sicilia […]. Parlarono anche di “tutto lo sviluppo che
c’era stato nel momento delle operazioni milanesi, il cosiddetto Manipulite”.
L’obiettivo era, comunque, a quel momento, di instaurare un rapporto di fiducia e di comprensione con Ciancimino. Ha aggiunto che, dopo la strage di via D’Amelio, fece un tentativo, riuscito, di “forzare la mano “: indurre Ciancimino a incontrarsi col colonnello Mori. Spiega così questo “innalzamento del livello “: “Questo, per una serie di motivi particolari. Primo fra tutti, la presenza del comandante rappresentava un livello nettamente superiore al mio, quindi rappresentava una sorta di riconoscimento del livello del nostro interlocutore. E ritenevo che il Ciancimino potesse sbloccarsi di più. Tra l’altro, mantenendo ferma l’idea che la nostra impostazione era comunque quella di attenerne una collaborazione, l’accettazione da parte del Ciancimino di un dialogo anche con il colonnello Mori era un passo in avanti verso questo obiettivo graduale che si doveva raggiungere “. Questo “innalzamento “, ha precisato, non era stato preventivato fin dall’inizio, ma rappresentò l’approdo del discorso fino a quel momento sviluppato. L’obiettivo finale era, comunque, quello di portare il Ciancimino alla collaborazione con l’Autorità Giudiziaria.
Ecco in che modo pensarono di raggiungere questo risultato: “Allora convenimmo che la strada migliore era quella di avvicinare sempre di più il Ciancimino alle nostre esigenze, cioè di portarlo per mano dalla nostra parte. E gli proponemmo di farsi tramite, per nostro conto, di una presa di contatto con gli esponenti dell’organizzazione mafiosa di Cosa nostra. Al fine di trovare un
punto di incontro, un punto di dialogo finalizzato alla immediata cessazione di quest’attività di contrasto netto, stragista nei confronti dello Stato. E Ciancimino accettò. Accettò questa ipotesi con delle condizioni. Innanzitutto, la condizione fondamentale era che lui poteva raggiungere il vertice dell’organizzazione siciliana, palermitana, a patto di rivelare i nominativi miei e del comandante al suo interlocutore “.
Essi acconsentirono a che venissero rivelati i loro nomi agli interlocutori, ma non fecero certo capire al Ciancimino che erano rappresentanti solo di sé stessi. Gli lasciarono credere che “avevano
la capacità di fare questa iniziativa”. […] Il discorso del cap. De Donno è continuato, quindi, sulla falsariga di quello già fatto dal gen. Mori. Ha riferito che ci furono quattro incontri tra Mori e Ciancimino tra agosto e ottobre del 1992, avvenuti tutti a casa di Ciancimino e tutti con la sua
partecipazione. […] Al quarto incontro Ciancimino disse di aver stabilito un contatto con i “vertici siciliani” e chiese loro cosa volevano. Si adirò quando si sentì dire che volevano la cattura di Riina e Provenzano in cambio di un equo trattamento per i loro familiari. Decise autonomamente che non avrebbe fatto alcun cenno al suo interlocutore della loro richiesta, perché, altrimenti, avrebbe
anche corso il rischio di rimetterci la vita. Si lasciarono col tacito accordo di congelare ogni cosa, per il momento (”Quindi avrebbe dato sì un messaggio negativo, ma non un messaggio ultimativo. Cioè, comunque restava aperta la porta ad un ‘eventuale ripresa di dialogo”).
L’esito di questo discorso fu, comunque, quello di isolare Ciancimino dal suo retroterra mafioso, giacché, accettando il dialogo con i Carabinieri, si era venuto a trovare “con un piede di qua e un piede di là”, se non altro perché aveva reso evidente che “i Carabinieri avevano scelto lui per questo contatto”.
Questo fatto costringeva ormai il Ciancimino a “gestirsi in maniera estremamente accorta “, perché in Sicilia anche un minimo sospetto “può determinare conseguenze particolari “.
Praticamente, la scelta della collaborazione era ormai obbligata per Ciancimino. Ha dichiarato che, prima di dargli il via libero per i contatti con Ciancimino, il col. Mori parlò col comandante del ROS, il generale Subranni. Ha continuato dicendo di aver incontrato nuovamente Ciancimino afine ottobre (o inizi di novembre del 1992), allorché Ciancimino gli fece sapere, attraverso il figlio, che voleva vederlo. Quando si incontrarono chiese chiaramente a Ciancimino di collaborare fattivamente per la cattura di Riina Ciancimino accettò di fornire informalmente elementi utili a questo scopo, nella speranza di allontanare la prospettiva del carcere, che per lui si presentava quasi
imminente. Chiese, infatti, alcune mappe particolareggiate di Palermo e alcuni documenti dell’azienda municipalizzata dell’acqua, attraverso cui pensava di poter individuare l’abitazione di Riina. Gli consegnò questi documenti il 19-12-92, ma nello stesso giorno Ciancimino fu arrestato per scontare una condanna definitiva. Successivamente, accettò di incontrare i magistrati di Palermo. In sede di controesame ha precisato che Ciancimino, nei primi incontri avuti con
lui, si disse disposto a fare da “agente sotto copertura” con “la funzione di diventare il responsabile, il gestore della ristrutturazione del sistema tangentizio tra imprese e partiti “, che egli riteneva connaturato al sistema politico ed imprenditoriale italiano e necessario al suo funzionamento. Si dichiarò sempre in grado di raggiungere i vertici “corleonesi” di “cosa nostra” (“Ciancimino non si è mai dichiarato uomo d’onore, comunque era in grado di arrivare ai vertici dell’organizzazione corleonese, sì”). Rispondendo al Procuratore di Palermo il Ciancimino rivelò poi che la persona da lui contattata per giungere a Riina era il dr. Cinà, medico di Riina”.
* * *
Come si è detto e si legge nella citata sentenza della Corte di Assise di Firenze, le predette risultanze si fondano soprattutto sulle testimonianze in quel processo rese dagli odierni imputati Mori e De Donno. Tale testimonianze sono state, quindi, introdotte anche nel medesimo processo
per iniziativa degli stessi predetti imputati, […].
E’ bene fissare, allora, per le valutazioni che poi saranno fatte sulle risultanze complessive, ciò che, in punto di fatto, si può ricavare dalla predetta sentenza e, ancor più dettagliatamente, dalle deposizioni testimoniai i allora rese dagli odierni imputati Mori e De Donno sulle quali prevalentemente si fondano le conclusioni di quella sentenza:
l) il Col. Mori fu mosso, dopo la strage di Capaci, dal dovere professionale di fare qualcosa per ricercare notizie all’interno della struttura mafiosa (Dich. Mori: “A fine maggio, mi sembra 24, 25, non ricordo bene, c’è la strage di Capaci ….. … … Ritenni che era un impegno morale, oltre che professionale, fare qualche cosa di più, di diverso, per venire a capo, nelle mie possibilità,
di queste vicende, di questa struttura che stava distruggendo i migliori uomini dello Stato … “);
2) De Donno suggerì di contattare Vito Ciancimino tramite il figlio Massimo, col quale aveva familiarità (Dich. Mori: “In questo ambito, in questo contesto di iniziativa mi si presentò il capitano De Donno, che da me dipendeva, il capitano Giuseppe De Donno. E mi propose un’iniziativa …… …. mi propose di tentare un avvicinamento, tramite il figlio Massimo, con Vito Ciancimino, che in quel momento era libero ed era residente a Roma”; Dich. De Donno: “L’idea di contattare il Ciancimino era stata mia …. . … …. Sì,faccio questa ipotesi al mio comandante. Che era, allora, il colonnello
Mori. E così, proponendogli questa prova, nel senso insomma di tentare, nell’immediatezza della strage di tentare un – tra virgolette, così – “un avvicinamento” del Ciancimino”);
3) Morì autorizzò De Donno a procedere In tal senso (Dich. Mori: “Lo autorizzai a procedere a questo tentativo”; Dich. De Donno: “Col comandante concordiamo che questo tentativo possa esser fatto”);
4) De Donno agganciò Massimo Ciancimino e incontrò Vito Ciancimino per la prima volta tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio (Dich. Mori: “questo primo contatto – che poi sono più di uno – tra De Donno e Massimo Ciancimino, avviene tra Capaci e via D’Amelio. Quindi diciamo nel giugno del ’92. Vito Ciancimino, sollecitato dal figlio, accetta”) e successivamente altre volte, secondo Mori, “a cavallo” della strage di via D’Amelio (Dich. Mori: “E ci sono una serie di colloqui che quindi partono … adesso, De Donno poi può essere più preciso, non so quand’è il primo, comunque partono nel giugno e si sviluppano tra il giugno e il luglio, a cavallo anche del secondo fatto grave, cioè via D’Amelio”), mentre, secondo De Donno, prima della detta strage (Dich. De Donna: “E abbiamo provato il contatto che. tra la strage di via Capaci e la strage di via d’Amelio. avviene. Perché Ciancimino accetta di incontrarmi nella sua abitazione di Roma … … .. .lo vado dal Ciancimino e incontro il Ciancimino sempre nella sua abitazione di Roma, da solo, due, tre volte. Nell’intervallo tra le due stragi: la strage del dottor Falcone e del dottore Borsellino…”);
5) lo scopo di tali incontri fu, per Mori, quello di acquisire spunti investigativi sia per la individuazione di latitanti, sia più in generale per le indagini in corso ed interrompere la strategia stragista della mafia (Dich. Mori: “Noi volevamo solo arrestare della gente che delinqueva …. … …. La trattativa nostra con Ciancimino era solo per vedere di sapere qualche cosa di più di
Cosa Nostra e arrestare questa gente. E basta; A VVOCATO Li Gotti: E poi era di interrompere la strategia stragista: TESTE Mori: Certo. Certo. certo”), così come confermato anche da De Donno secondo il quale, oltre a tentare di spingere Ciancimino a collaborare con la Giustizia, essi avevano
anche l’intendimento di per far cessare le stragi (Dich. De Donno: ” .. era nostra intenzione cercare di trovare un canale di contatto con il Ciancimino, per tentare di ottenere da lui indicazioni utili su quanto, sui fatti storici che si stavano verificando in quel periodo. E in ultima analisi tentare di
attenerne una collaborazione formale con l’autorità giudiziaria … ……… un punto di dialogo finalizzato alla immediata cessazione di quest’attività di contrasto netto. stragista nei confronti dello Stato”);
6) il discorso, in questi stessi incontri, si allargò al fenomeno di “tangentopoli” (Dich. De Donno: ” .. tutto lo sviluppo che c’era stato nel momento delle operazioni milanesi, il cosiddetto “Manipulite'”‘) e Vito Ciancimino si offrì di fornire le sue conoscenze;
7) per tale ragione, secondo Mori, De Donno aveva organizzato il primo incontro con lo stesso Mori avvenuto il 5 agosto 1992 […], mentre secondo De Donno, egli aveva deciso di “innalzare il livello” dei contatti dopo la strage di via D’Amelio per indurre definitivamente Ciancimino a collaborare […];
8) in questa occasione Mori fece a Vito Ciancimino il nome del Gen. Subranni (comunque già informato sin dall’inizio dell’intendimento di contattare Ciancimino: v. testimonianza De Donno[…]), che il Ciancimino già conosceva (“…gli accennai che il mio superiore diretto era il generale Subranni. Al che lui si ricordò: ‘ma chi è, il maggiore che era al Nucleo Investigativo di Palermo?’ ‘Sì, il maggiore che … ‘ e commentammo questo .. “), informando, poi, di ciò Subranni […];
9) il secondo incontro avvenne il 29 agosto 1992 (“II secondo incontro avviene il 29 di agosto, quindi nello stesso mese, a fine mese”) ed in tale occasione, secondo Mori, questi sapendo dei problemi giudiziari di Ciancimino, gli chiese se, superando il “muro contro muro” tra lo Stato e la mafia, fosse possibile parlare con i vertici mafiosi […], mentre, secondo De Donno, fu anche
espressamente detto a Ciancimino che il dialogo era finalizzato alla immediata cessazione della strategia stragi sta dei mafiosi (Dich. De Donno: “E gli proponemmo di farsi tramite. per nostro conto. di una presa di contatto con gli esponenti dell’organizzazione mafiosa di Cosa nostra. AI
fine di trovare un punto di incontro. un punto di dialogo finalizzato alla immediata cessazione di quest ‘attività di contrasto netto. stragista nei confronti dello Stato. E Ciancimino accettò”);
10) secondo Mori, Vito Ciancimino accettò, dichiarandosi in grado di poteri o fare, e Mori, quindi, lo sollecitò a farlo, mentre, secondo De Donno, Ciancimino condizionò il suo intervento alla possibilità di fare ai mafiosi i nomi dei Carabinieri con cui era in contatto, richiesta cui Mori e De Donno acconsentirono, facendo credere al Ciancimino che essi avevano il potere di rappresentare lo Stato inteso come Istituzione […];
11) secondo Mori, nel successivo incontro dell’l ottobre 1992 Ciancimino disse di avere preso contatto con i vertici mafiosi tramite un intermediario e che, però, i predetti vertici volevano sapere per conto di chi agivano quei Carabinieri […]; tale discorso, come detto al punto precedente, è collocato, invece, da De Donno nella prima occasione in cui essi avevano sollecitato Ciancimino a contattare i vertici mafiosi;
12) ancora secondo Mori, questi allora, “bluffando”, fece consapevolmente credere a Ciancimino che la sua iniziativa era nota a chi avrebbe potuto interloquire fattivamente con i mafiosi, invitando, quindi, Ciancimino ad andare avanti (” ….. Allora gli dissi: ‘lei non si preoccupi, lei vada avanti’…”); anche tale discorso logicamente collegato al precedente, ugualmente, è collocato, invece, come già detto sopra, da De Donno nella prima occasione in cui essi avevano sollecitato Ciancimino a contattare i vertici mafiosi;
13) Mori e Vito Ciancimino, dunque, lasciandosi, concordarono di “sviluppare la trattativa” (“…E restammo d’accordo che volevamo sviluppare questa trattativa…”); il termine “trattativa”, sul quale si tornerà più avanti anche a proposito delle dichiarazioni spontanee rese all’udienza dell’8 settembre
2016 da Mario Mori, è stato espressamente usato da quest’ultimo; anche De Donno ha usato il medesimo termine riferendo di avere detto a Ciancimino che i Carabinieri in quella, appunto, “trattativa”, rappresentavano lo Stato;
14) Mori e Ciancimino si rividero il successivo 18 ottobre 1992 ed in quella occasione il secondo disse che i mafiosi “accettavano la trattativa” (Dich. Mori: “18 ottobre, quarto incontro. Ciancimino, con mia somma sorpresa, perché fino a quel momento, anche con tutte le affermazioni: ‘io ho preso
contatto’, non ci credevo. Ciancimino mi disse: ‘guardi, quelli accettano la trattativa .. “; Dich. De Donno: “Al quarto incontro. Ciancimino invece si fece portatore di un messaggio di accettazione della nostra richiesta di trattativa, di dialogo, di discorso dei vertici siciliani. Cioè, ci disse: ‘sono
d’accordo. Va bene, accettano”) a condizione che Ciancimino fosse l’intermediario e che la trattativa proseguisse all’estero […] con conseguente richiesta del Ciancimino di ottenere il passaporto […] e riferì, nel contempo, che i mafiosi chiedevano di sapere cosa lo Stato offrisse loro (Dich. Mori: “Voi che offrite in cambio?”; Dich. De Donno: “Vogliono sapere che cosa volete”‘); secondo De Donno, però, essi avrebbero dissuaso il Ciancimino dal richiedere il passaporto per le conseguenze per lui pregiudizievoli che ne sarebbero derivate;
15) Mori, preso alla sprovvista da quella richiesta, disse a Ciancimino di invitare i mafiosi a costituirsi con in cambio la promessa di trattare bene le loro famiglie […];
16) Ciancimino disse a Mori che mai avrebbe potuto riferire una simile offerta ai mafiosi che altrimenti lo avrebbero ucciso e, pertanto, i predetti si lasciarono con la prospettiva di chiudere la “trattativa” […];
17) tuttavia, nei primi di novembre 1992 Vito Ciancimino aveva chiesto di incontrare di nuovo i Carabinieri […] e, incontrato De Donno, gli chiese cosa effettivamente loro volessero da lui […];
18) De Donno rispose che volevano catturare Riina e Vito Ciancimino accettò di aiutare i Carabinieri, chiedendo, a tal fine, di fargli avere le mappe delle utenze di alcune precise zone di Palermo […];
19) secondo Mori, De Donno portò le mappe a Ciancimino il 18 dicembre 1992 e quest’ultimo, però, chiese di disporre di altre indicazioni che, tuttavia, non fu più possibile fargli avere perché il giorno successivo Ciancimino fu arrestato […], mentre, secondo De Donno, egli consegnò le mappe a Ciancimino lo stesso 19 dicembre 1992 poco prima che quest’ultimo fosse arrestato […];
20) soltanto quando Ciancimino nel marzo 1993 ne aveva parlato con i magistrati, Mori e De Donno avevano saputo che l’intermediario tra Vito Ciancimino e i vertici mafiosi era stato il Dott. Cinà […];
21) Mori aveva sempre informato il suo superiore Gen. Subranni dello sviluppo degli incontri con Vito Ciancimino […];
22) Mori era ben consapevole che Vito Ciancimino effettivamente conosceva i mafiosi “corleonesi” (“Dich. Mori: “Gli ho detto: ‘ma lei li conosce questa gente?’ Sapevo benissimo che li conosceva, Ciancimino è di Corleone”), cioè Riina e Provenzano, cosa di cui aveva avuto conferma quando
Ciancimino si era adirato per la richiesta di far consegnare i predetti ([…];
23) Mori aveva intenzione di far pedinare Vito Ciancimino, se la “trattativa” fosse proseguita, per scoprire con chi si incontrasse il predetto […];
24) Ciancimino non formulò mai proposte concrete per la “trattativa” e, pertanto, non si parlò mai del “papello” […].

LA SENTENZA DI SECONDO GRADO DELLA CORTE DI ASSISE DI APPELLO FIRENZE
Nella sentenza n. 4/200 l pronunziata dalla Corte di Assise di Appello di Firenze il 13 febbraio 2001 (doc. 50 della produzione del P.M. all’udienza del 26 settembre 2013), per la parte che qui rileva, si legge: “La trattativa Mori – Ciancimino. La questione riveste, ad avviso di questa Corte, molta importanza nella economia del presente processo e merita quindi farvi un cenno, ancorché breve, sia perché dei rapporti fra l’allora Colonnello dei Carabinieri Mori, comandante del R.O.S. dei Carabinieri, con tale Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo condannato per reati di mafia ha parlato il primo giudice, sia perché è stata chiesta, ancora, la l’innovazione del dibattimento per nuovo esame del predetto ufficiale, che sembra oggi sia generale dell’Arma, e del capitano De Donno, suo dipendente, da parte del difensore di Calabrò e Riina. […] La predetta sentenza di appello, dunque, nulla aggiunge ai dati di fatto già enucleati dalla sentenza di primo grado, se non nell’ inciso in cui rileva che “i contatti tra i due ufficiali” (quindi, sia Mori che De Donno) con Vito Ciancimino erano iniziati nel giugno 1992.


Fonte mafie blog repubblica