“Via D’Amelio”, sotto indagine anche il medico di Riina

Il 20 aprile del 2018, accogliendo quanto proposto dalla Procura di Palermo, la Corte d’Assise presieduta da Alfredo Montalto, a conclusione del processo di primo grado sulla presunta “trattativa” tra Stato e mafia, ha inflitto 12 anni di carcere, per il reato di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato, ad Antonino Cinà, 74 anni, il medico di fiducia di Riina, Provenzano, Bagarella e delle loro famiglie durante la latitanza, colui al quale lo stesso Riina avrebbe affidato il famigerato “papello”, ovvero le condizioni di Cosa Nostra allo Stato per invertire la rotta della stagione delle stragi. Poi Cinà avrebbe consegnato il “papello” a Vito Ciancimino che, nell’estate del ’92, avrebbe intrapreso un dialogo segreto con alcuni Carabinieri del Ros per stoppare le stragi. Adesso Antonino Cinà è sotto giudizio d’Appello per la “trattativa”, e nel frattempo la giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Caltanissetta, Valentina Balbo, ha rigettato la richiesta avanzata dalla Procura nissena di archiviazione delle indagini a carico di Antonino Cinà nell’ambito dell’inchiesta sui mandanti occulti della strage di via D’Amelio contro Paolo Borsellino. La giudice Balbo il prossimo 28 ottobre al palazzo di giustizia di Caltanissetta incontrerà i magistrati della Procura titolari delle indagini, il procuratore Amedeo Bertone e l’aggiunto Gabriele Paci, e si discuterà nel merito. In occasione della sentenza di primo grado al processo “trattativa”, i giudici giudicanti hanno ipotizzato che Paolo Borsellino sia stato ucciso perché scoprì il dialogo segreto tra un pezzo dello Stato e i vertici di Cosa Nostra. Secondo tale ricostruzione, Antonino Cinà, detenuto ergastolano al 41 bis, sarebbe a conoscenza dell’oggetto della “trattativa”. L’avvocato Fabio Repici, parte civile nei processi sulle stragi e sempre al fianco di Salvatore Borsellino, il fratello del giudice Paolo, commenta il nuovo filone d’indagine su Antonino Cinà così: “Con il rigetto della richiesta di archiviazione formulata dalla Procura di Caltanissetta, si prospetta la preziosa opportunità di un ulteriore importante approfondimento nella ricostruzione dei tempi e delle ragioni della strage di via D’Amelio e dell’accelerazione nella sua esecuzione. Sulla posizione di Cinà, infatti, possono trovare un formidabile punto di saldatura gli scenari illustrati dalla Corte d’Assise di Caltanissetta nella sentenza del processo Borsellino quater, e dalla Corte d’Assise di Palermo nella sentenza sulla trattativa Stato-mafia” – conclude l’avvocato Repici. Nel capo d’imputazione formulato dalla Procura di Palermo al processo “trattativa” su Antonino Cinà si legge: “I boss mafiosi Riina, Provenzano, Brusca, Bagarella e il ‘postino’ del papello, Antonino Cinà, sono gli autori immediati del delitto principale, in quanto hanno commesso, in tempi diversi, la condotta tipica di minaccia ad un Corpo Politico dello Stato, in questo caso il Governo, con condotte diverse ma avvinte dal medesimo disegno criminoso, a cominciare dall’omicidio di Salvo Lima”.