Quell’antimafia tanto folk (e bugiarda)

MONTANTE, all’esito di quanto fin qui ricostruito, non appare ergersi quale paladino dell’antimafia, come i suoi difensori lo hanno definito, a meno che della parola “antimafia” non voglia ammettersi, con licenza di deragliamento semantico, un uso un po’ “folk”, nel quale sia sufficiente accusare taluno – magari un avversario o un competitore – di appartenenza alla mafia per autocelebrarsi quale esponente dell’antimafia.
In senso contrario, è sterile la menzione difensiva dei diversi atti intimidatori denuncianti da MONTANTE a far data dal 2004 (per una rassegna completa delle denunce, cfr. annotazione n. 1709 del 26 giugno 2015 della squadra mobile di Caltanissetta), e ciò sia perché i collaboratori Pietro RIGGIO e Dario DI FRANCESCO ne disconoscono la matrice mafiosa, sia perché è la stessa condotta serbata da MONTANTE, dopo la denuncia delle presunte minacce, ad apparire logicamente inconciliabile con la loro veridicità storica.
MONTANTE, infatti, benché in data 5 marzo 2015 avesse ottenuto l’innalzamento sino al terzo livello rafforzato del dispositivo di protezione, violava in maniera sistematica i protocolli di sicurezza, tanto da suscitare il richiamo del prefetto (cfr. nota del 20 luglio 2015 in atti; cfr. annotazione relazione di servizio redatta da appartenenti alla squadra mobile di Caltanissetta in data 4 marzo 2016, da cui si evince la commissione di trentuno violazioni nel periodo compreso tra il 7 giugno 2015 e il 2 febbraio 2016).
Volendo pure prescindere dalla significatività di tale dato formale, che potrebbe spiegarsi anche in chiave di umana rivendicazione di spazi di riservatezza o di libertà con uscite non programmate e non suscettibili, proprio perché imprevedibili, di degenerazioni attentatorie, impressionano davvero le considerazioni dei collaboratori di giustizia circa la estraneità delle presunte intimidazioni a contesti mafiosi.
Di seguito le dichiarazioni rese da Pietro RIGGIO in data 23 settembre 2008, che si contraddistinguono per un’analisi ragionata delle dinamiche mafiose e per la ritenuta inverosimiglianza della scelta della mafia nissena di colpire personaggi dell’importanza di MONTANTE:

Verbale di interrogatorio di Pietro RIGGIO del 23 settembre 2008
P.M. dott. BERTONE- Lei lo sa, è venuto a conoscenza del fatto che Montante ha subito delle
intimidazioni, una testa di cane, poi gli hanno fatto danneggiamenti?
RIGGIO PIETRO – Ho saputo qualche cosa, ma… onestamente io non… non darei adito più di
tanto, perché, ripeto…
P.M. dott. BERTONE- Al di là, diciamo, di quella che è la sua impressione, lei…
RIGGIO PIETRO – Sì, sì.
P.M. dott. BERTONE – …atti di danneggiamenti…
RIGGIO PIETRO – So…
P.M. dott. BERTONE-  …di intimidazione ne è a conoscenza, ne sa? Ha da darci qualche informazione su questo?
RIGGIO PIETRO – lo ho saputo dal giornale, io quello che do l’interpretazione per conto mio, le
teste di cani, ‘sti avvertimenti non sono cosa che dà Cosa Nostra, perché Cosa Nostra o la fa la cosa o non la fa, e quindi cerca il dialogo. Secondo me se l ‘è messa lui personalmente o comunque…
P.M dott. BERTONE – Va beh…
P.M dott. LUCIANI -Va beh, queste sono…
RIGGIO PIETRO -Sì, questo è il mio… il mio pensiero. Andare a mettere un avviso lì a che pro?
Per fare…
P.M dott. BERTONE -Va beh, lei poco fa racconta della cartuccia messa al Di Vincenzo.
RIGGIO PIETRO – C ‘è un fatto ben specifica, ben… accompagnato da una lettera, accompagnato da una cosa, messa li, consegnata agli inquirenti, quindi c ‘è un discorso ben preciso. Ora, che una persona vada a mettere… oppure se trova una testa di cane messa lì davanti il portone o davanti… la cosa è un attimino… e poi non si è visto niente, non c’è un seguito. Oppure c ‘è stato il
seguito e…
P.M. dott. LUCIANI -Chi è stato, chi non è stato, motivazione, proprio questo, ha parlato con
qualcuno?
RIGGIO PIETRO -Io intanto quando vengo a sapere dal telegiornale che fanno l ‘intimidazione
al presidente della camera di commercio, lo dicono al TG1: “Questo”, dissi…
P.M. dott. LUCIANI –  Camera di commercio?
RIGGIO PIETRO -Sì, di Caltanissetta, Ventura, Venturi… Venturi. Dico: “Ma cu è che va a fare
queste cose? ” Anche perché camera di commercio, prima c’era stato Pernaci, poi c’era stata una diatriba che ci voleva andare anche Romano, poi Romano non è stato scelto, alla fine c’è andata una persona sempre della loro cerchia; quindi siamo sempre sulle solite cose, non è che cambia niente
a Caltanissetta, sempre fra di loro rimangono le cose, duttu ‘. Non è matta, ma è potere in un altro senso, è ‘u gruppo di potere. Rimango meravigliato perche’ a Caltanissetta andare a cercare a Ventura, forse Iacona non lo capisce, ma io lo capisco, e non è possibile, perché cercare a Ventura e
minacciare a Ventura significa essere già a livello di Ventura, significa che il mafioso già parla con il presidente della camera di commercio. Se io vado a parlare con il presidente della camera di commercio, significa che già ho degli interessi abbastanza quotati, significa società, significa situazioni particolari. Cosa che a Caltanissetta non c’erano, nun ci su’, non c ‘è quella forza da parte degli appartenenti alla famiglia. Forse da parte di qualche privato, che usa strumentalmente qualcuno dell’associazione
P.M dott. BERTONE – Quindi…
RIGGIO PIETRO – Questa era la disamina che faccio io.
P.M dott. BERTONE- Sì, però lei aveva detto…
RIGGIO PIETRO – Andare… andare… ad esempio, il presidente dell’industriale andare a
disturbare ‘u presidente dell’industriale da parte dell’associazione
P.M dott. BERTONE – Associazione intendiamo…
RIGGIO PIETRO -Mafiosa. Secondo me, è più l’interesse di qualcuno che potrebbe, perché
magari mette il bastone tra le ruote, e allora dobbiamo andare a vedere perché mette il bastone tra le ruote; e allora sono gli interessi che sono fra di loro. Perche’ se prima si è estrinsecato in Cortese, Pernaci, Dolce, i tre, e ora si estrinseca in Montante, Ventura e l ‘altro non… non lo so, significa che nel nuovo è stato usato il vecchio. Quindi la garanzia di cui si faceva il vecchio non c’è più; quindi ora ci sono i rampanti, ci sono i nuovi. L’altro era Romano. E’ normale che è successo questo, è normale che l’ASI è commissariato, perche’ non riescono ad addivenire all’accordo non raggiungeranno 1’accordo. Quindi lo sanno, dal momento in cui si nomina
quell’accordo, propenderà o per A o per B.
P.M dott. BERTONE – Quindi, diciamo, dovendo poi verbalizzare, rispetto alla nomina che le ho
fatto io, possiamo dire senza pena di sbagliare che lei non è a conoscenza
che questi atti intimidatori siano provenienti da Cosa Nostra.
RIGGIO PIETRO -Da Cosa Nostra, si.
P.M. dott. BERTONE -Pero` non sa lei, diciamo, da chi provengano, ma ha fatto soltanto delle sue
valutazioni, diciamo, personali. Difatti diretti lei non ne è a conoscenza.
RIGGIO PIETRO- No, io valuto in base all’esperienza che ho avuto, in base alle cose che… Certo, infatti, se ho rapporti, se io rimanevo, allora qualcosa…
P.M dott. BERTONE – Certo.

Di analogo tenore le dichiarazioni rese in merito da DI FRANCESCO il 7 maggio 2014, il quale evidenziava come alcune di tali minacce sarebbero state perpetrate in danno di MONTANTE mentre il vertice della famiglia mafiosa di Serradifalco era tutta ristretta in carcere, sicché una iniziativa adespota della base associativa, nei riguardi di chi, come l’esponente di Confindustria, aveva sempre goduto del rispetto dei “capi”, appariva del tutto eccentrica:

Verbale di interrogatorio del 7 maggio 2014
Posso dire di essere rimasto meravigliato nel leggere sui giornali che Antonello MONTANTE era stato destinatario di minacce.
Ricordo di aver commentato tali vicende con Angelo CA VALERI nel carcere di Ariano Irpino e con Crocifisso SMORTA nel carcere di Secondigliano.
Ricordo che, a mo’ di battuta, io stesso dissi che si trattava di minacce che si era fatto da solo, perché ritengo impossibile che potessero provenire da Serradifalco, anche perché gli ALLEGRO, io e ARNONE eravamo tutti in Carcere e poi perché lo stesso, come ho già detto prima, a Serradifalco è stato sempre rispettato.

Le ulteriori dichiarazioni di DI FRANCESCO, valutate congiuntamente a quelle, sopra esaminate, di DI VINCENZO, forniscono la lente attraverso la quale leggere l’evoluzione impressa da MONTANTE alla propria carriera. Una carriera che, inizialmente, poteva sintetizzarsi nelle ambizioni di un giovane e rampante imprenditore di scalare il successo, mediante strategiche alleanze associative e godendo del rispetto, ricambiato, degli esponenti della mafia nissena, con i
quali talvolta coltivava varie forme di cointeressenza economica.
Un astro nascente, insomma, dell’imprenditoria siciliana, proiettato al successo economico ed associativo-industriale.
Gli anni 2004-2005 sono, però, gli anni della metamorfosi, gli anni in cui MONTANTE si travestiva da uomo della Provvidenza, unto dal Signore per redimere i peccatori, fossero essi imprenditori, giornalisti o liberi professionisti, flagellarli per i loro misfatti e purificarli.
Come ampiamente illustrato, infatti, è nel 2004 che MONTANTE cominciava a denunciare alcuni atti intimidatori, commessi da vacue sagome talmente impalpabili e diafane da sfuggire persino all’attenta percezione degli stessi appartenenti alla mafia.
Le denunce di quelle presunte minacce costituivano il primo sintomo di quella degenerazione superoministica che conduceva, lentamente, MONTANTE alla deriva.
Nel 2005, ormai eletto alla presidenza di Confindustria Caltanissetta, l’imprenditore di Serradifalco ripudiava DI VINCENZO, che pure lo aveva sostenuto e del quale aveva sempre sposato la linea associativa, e ciò senza una ragione apparente, non potendo considerarsi tale il bisogno di discontinuità rispetto al vecchio corso confindustriale, invocato da chi, da parte sua, fino a
quel momento aveva mantenuto un rapporto solido, sul piano personale, associativo e degli affari, con V. ARNONE, di professione capomafia di Serradifalco.
E, tra il 2004 e il 2005, MONTANTE entrava in rotta di collisione con l’Avv. Salvatore IACUZZO, allora direttore del consorzio A.S.I. di Caltanissetta, nel quale MONTANTE rivestiva il ruolo di vicepresidente e di cui, successivamente alle vicissitudini giudiziarie del presidente, Umberto CORTESE, assumeva la presidenza.
Il rapporto, turbolento, tra MONTANTE e IACUZZO merita di essere specificamente approfondito, in quanto finirà per costituire il fermento motivo di molte vicende che saranno oggetto di esame nel presente provvedimento.

[…]
E’ Dario DI FRANCESCO a fare importanti dichiarazioni sulla involuzione del rapporto tra MONTANTE e IACUZZO, individuando la fase della rottura nel periodo nel quale MONTANTE, vice presidente del consorzio A.S.I. di Caltanissetta, aveva assunto le funzioni di vertice a seguito di particolari vicissitudini che avevano travolto l’allora presidente, Umberto CORTESE.
DI FRANCESCO raccontava, altresì, della divulgazione, per iniziativa di IACUZZO, della notizia circa una laurea conseguita a pagamento da MONTANTE, ma soprattutto riferiva del progetto di quest’ultimo, ai tempi della presidenza di IACUZZO del consorzio A.S.I., di versare una consistente somma di denaro ai familiari dello stesso DI FRANCESCO affinché questi collaborasse con la giustizia e lanciasse delle accuse aventi ad oggetto presunte malefatte nella gestione del consorzio.
Da tale proposito di mecenatismo giudiziario MONTANTE avrebbe receduto di fronte al rischio, paventato da ARNONE, che DI FRANCESCO, costretto, in caso di collaborazione, ad una rivelazione integrale delle proprie conoscenze sull’ambiente e sulle dinamiche di Cosa Nostra, potesse fare delle rivelazioni anche sul conto dello stesso MONTANTE.

Verbale di interrogatorio di Di Francesco del 28 marzo 2015:
A.D.R.: in ordine a quanto a mia conoscenza su Antonello MONTANTE, oltre a ciò di cui ho già
riferito, intendo altresì riferire che, durante il mio ultimo periodo di libertà, mio malgrado ho
avuto qualche occasione di incontro con Vincenzo ARNONE.
Preciso che fu l’ARNONE a cercarmi, poiché io non avevo alcuna intenzione di avere rapporti
con lui essendosi egli, differentemente da quanto avevo fatto io in precedenza, completamente
disinteressato di me e della mia famiglia durante la mia detenzione.
In una di tali occasioni di incontro, presi con l ‘ARNONE il discorso di MONTANTE,
evidenziandogli, per stuzzicarlo, come “il suo compare” fosse ormai “lanciato nel mondo della
legalità”. L’ARNONE mi rispose con un sorriso sarcastico, contestualmente dicendomi che, dopo che egli venne scarcerato in conseguenza della condanna subita per il procedimento c.d. “Urano” – siamo quindi nel 2004-2005 se non erro – ebbe ad incontrare il MONTANTE, il quale gli domandò un suo interessamento per convincermi, dietro il versamento di una consistente somma di danaro da
destinare ai miei familiari, a divenire collaboratore di giustizia e, in tale veste, a rendere dichiarazioni accusatorie nei confronti del dott. IACUZZO in quel momento Direttore dell’A.S. I..
Non so esattamente i motivi per i quali il MONTANTE avesse questi progetti, ma posso dire, al
riguardo, che vi fu un periodo in cui l’avv. CORTESE fu sospeso dalle funzioni di Presidente
dell’A.S.I. e le stesse vennero svolte dal MONTANTE, che aveva la carica di vicepresidente.
Durante tale lasso di tempo il MONTANTE entrò in forte contrasto con IACUZZO anche se non
ne so esattamente le ragioni; posso solo evidenziare che, in tale periodo, apparvero sui giornali
alcune notizie che riguardavano la laurea che il MONTANTE aveva preso a pagamento non so da
quale istituto, notizie che vennero veicolate proprio attraverso l’interessamento dello IACUZZO.
L ‘ARNONE, nell’incontro di cui sto parlando, mi disse anche che aveva evidenziato al
MONTANTE che non gli conveniva portare a compimento i suoi propositi, posto che, laddove avessi intrapreso la strada della collaborazione, certamente non mi sarebbero state chieste notizie
riguardanti solo IACUZZO, ma avrei dovuto fare completa chiarezza su quanto a mia conoscenza e, dunque, sarei stato costretto alla fine a riferire anche quanto sapevo sulla sua persona.

Orbene, avuto riguardo alla inscrizione, da parte di DI FRANCESCO, dell’incontro e di tale colloquio con V. ARNONE durante il proprio ultimo periodo di libertà, la notizia del progetto di MONTANTE di indurlo ad una collaborazione “orientata” dovrebbe essergli pervenuta tra il luglio del 2013 (epoca in cui venne scarcerato dopo avere espiato le pene inflittegli nei processi che si erano celebrati nei suoi confronti) e l’11 marzo 2014 (allorché venne tratto in arresto nell’ambito del procedimento n. 3365/10 R.G.N.R. mod. 21 c.d. Co/po di Grazia).
Inoltre, circa la collocazione temporale dell’incontro ARNONE-MONTANTE, nel quale il secondo avrebbe esposto l’idea della collaborazione di DI FRANCESCO al primo, dovrebbe potersi individuare l’arco cronologico che va dal 14 maggio 2004 (quando ARNONE venne scarcerato al termine della esecuzione della pena inflittagli nell’ambito del processo c.d. “Urano”) al 30 settembre 2007, quando IACUZZO cessò il suo mandato presidenziale all’interno del consorzio (cfr., a tal proposito, le dichiarazioni dallo stesso rese il 6 giugno 2016).
Diversi gli elementi di riscontro segnalati dall’accusa:
1) l’effettiva esistenza di una accesa conflittualità tra MONTANTE (vicepresidente del consorzio A.S.I. di Caltanissetta e poi presidente facente funzioni) e IACUZZO (direttore del medesimo consorzio);
2) l’effettivo espletamento di attività investigativa, sul conto di IACUZZO, da parte della Guardia di Finanza nissena, al tempo completamente asservita ai desiderata di MONTANTE (come si spiegherà meglio infra);
3) l’effettiva disponibilità, in capo a MONTANTE, di risorse economiche derivanti da verosimili fondi neri delle sue imprese, suscettibili di essere destinati anche ad un eventuale finanziamento della collaborazione, auspicata, di DI FRANCESCO.
In particolare, in ordine alla circostanza di cui al superiore punto n. 1), essa può considerarsi pacifica alla luce non soltanto delle dichiarazioni rese dallo stesso IACUZZO (cfr. verbale del 6 giugno 2016) e da DI VINCENZO (cfr. interrogatorio del 4 febbraio 2016), ma anche delle ulteriori dichiarazioni provenienti da Marco VENTURI (cfr. verbale di sommarie informazioni
testimoniali del 12 novembre 2015), Giovanni CRESCENTE (cfr. verbale di sommarie informazioni testimoniali del 22 dicembre 2015) e Pasquale TORNATORE (cfr. verbale di sommarie informazioni testimoniali rese il 4 dicembre 2015).
Peraltro, le dichiarazioni di CRESCENTE e di TORNATORE appaiono munite di una loro specificità, posto che il primo riferiva dell’allerta creata da MONTANTE per la pericolosa prossimità di IACUZZO a DI VINCENZO, mentre il secondo ricordava che i rapporti tra MONTANTE e IACUZZO si erano deteriorati nel periodo in cui il primo era divenuto presidente pro tempore del consorzio A.S.I. in sostituzione di Umberto CORTESE. TORNATORE, inoltre, evidenziava che, in occasione della divulgazione mediatica della notizia del presunto conferimento a MONTANTE, da parte dell’Università La Sapienza di Roma, di una laurea honoris causa (in realtà, conferita da una università privata), era stato proprio IACUZZO ad attivarsi per verificare la veridicità dell’informazione veicolata, ciò che aveva comportato una smentita da parte del prestigioso ateneo.
E’ evidente come, nelle parole di TORNATORE, riecheggino quelle di DI FRANCESCO, sia in ordine all’intervento di IACUZZO sulle notizie mediatiche afferenti ad una presunta laurea conseguita da MONTANTE sia in merito alla individuazione del momento incoativo della degenerazione dei suoi rapporti con IACUZZO.
Quanto all’attenzione investigativa rivolta nei riguardi di quest’ultimo, si tratta di argomentazioni che verranno sviluppate nel prosieguo, essendo sufficiente accennare in questa fase che, dopo l’insorgenza del conflitto tra lo stesso IACUZZO e MONTANTE, il primo, unitamente a CORTESE, nelle rispettive vesti di direttore e presidente del consorzio A.S.I. di Caltanissetta, veniva denunciato dalla Guardia di Finanza nissena, al soldo di MONTANTE, per concorso esterno in associazione mafiosa in relazione ad un episodio di concessione in comodato d’uso di un terreno in favore della ditta di autotrasporti riconducibile a Salvatore RIZZA, soggetto ritenuto organico alla famiglia mafiosa di Caltanissetta.
Orbene, può qui anticiparsi, in chiave prologica rispetto alla più puntuale ricostruzione della vicenda che verrà fatta infra, come una lettura in termini casualistici dell’indagine della Guardia di Finanza su IACUZZO e CORTESE non è logicamente sostenibile.
Essa, infatti, apparirebbe in stridente contrasto con una circostanza: nell’ambito dell’attività di dossieraggio compiuta da MONTANTE, oggetto di analisi nell’apposito capitolo, Salvatore IACUZZO risulta tra le persone sulle quali si era appuntato il focus delle interrogazioni illecite nella banca dati delle forze di polizia, rese possibili dalla complicità, con l’imprenditore di
Serradifalco, di appartenenti alla Polizia di Stato.
Tali elementi avallano, con funzione tecnica di riscontro, le dichiarazioni di DI FRANCESCO circa la volontà di MONTANTE di colpire a tutti i costi IACUZZO.
Rinviando, comunque, ad altro comparto motivazionale l’approfondimento della vicenda, laddove verrà presentata la galleria degli interventi anomali posti in essere dalla Guardia di Finanza, giova ricordare, con rapidità parentetica, la riflessione operata dall’organo requirente in merito alla
posizione criminologica di DI VINCENZO e IACUZZO.
A tal proposito evidenzia l’accusa, al fine di prevenire indebite strumentalizzazioni del presente procedimento, che le evidenze ex actis non consentono di accreditare un’immagine agiografica di IACUZZO o dello stesso DI VINCENZO, eletti da MONTANTE a propri acerrimi nemici.
In particolare, il P.M., mostrando perfetta equidistanza tra le opposte fazioni emerse dentro gli ambienti confindustriali nisseni, sottolinea, accanto alle contestate attività illecite di MONTANTE, una certa opacità di comportamenti da parte di DI VINCENZO e IACUZZO, i quali, per esempio, avrebbero provato a giustificare talune movimentazioni di denaro, di entità consistente, dall’uno
all’altro, in termini di mero prestito. Giustificazione, questa, che, alla luce delle modalità con cui tali movimentazioni sono risultate annotate in un documento rinvenuto dagli investigatori, appariva agli occhi degli inquirenti assolutamente poco convincente.
Si riporta, per i dettagli della vicenda, uno stralcio dell’ordinanza cautelare (da p. 196), che ripercorre, a sua volta, un passo della relativa richiesta:
Ciò non significa, occorre tornare a ripeterlo, che la (a dir poco) disdicevole condotta del MONTANTE quale descritta dal DI FRANCESCO possa servire per affermare, di converso, l’eventuale linearità dei comportamenti dello IACUZZO, sul conto del quale, a ben vedere, certamente rileva l’irrazionalità delle spiegazioni fornite (tanto dello stesso IACUZZO, quanto del DI VINCENZO) delle accertate dazioni di danaro (annotate sulle “schede di mastro” rinvenute nell’ambito delle indagini condotte nel procedimento che ha poi condotto all’arresto del DI
VINCENZO da parte di questa D.D.A., cfr. atti allegati all’interrogatorio del DI VINCENZO del 4.2.2016) da parte di quest’ultimo in favore proprio dello stesso IACUZZO.
Pare, infatti, francamente difficile credere che alla base della erogazione di consistenti somme di danaro (oltre 180 milioni di lire in un arco di tempo compreso tra il 1988 ed il 1995) vi fosse un spirito di liberalità per venire incontro, evidentemente, a difficoltà economiche di “un amico”; oltre ad essere del tutto irrazionale, si tratta di una motivazione che non riesce a spiegare come mai, in
alcuni casi, l’annotazione di quelle somme sia affiancata da altre (ad es. “IACUZZO X ANAS”, oppure “siamo a 60”, “siamo a 80” e cosi via) che inducono a ritenere altre e ben diverse causali sottese a quell’elargizione di danaro.
Orbene, è intendimento di questo giudice non esprimere alcuna valutazione in relazione a tale vicenda, che è del tutto avulsa dal perimetro dell’odierno giudizio e rispetto alla quale potrebbero formularsi semplici impressioni, che indegnamente occuperebbero uno spazio all’interno della presente motivazione.
Di essa, pertanto, si è dato atto soltanto al fine di evidenziare l’assenza di qualsiasi profilo di acritica adesione, da parte degli investigatori, a tesi accusatorie preconfezionate, frutto, come pure è stato affermato dalla difesa di MONTANTE, di un grave depistaggio dell’attività giudiziaria.
Nell’ambito del presente processo, dunque, l’unico aspetto realmente rilevante delle dinamiche dialettiche confindustriali è quello della opportuna valutazione, in termini particolarmente rigorosi, dell’attendibilità delle dichiarazioni che provengono da soggetti legati a MONTANTE da un rapporto di speciale conflittualità, al fine di scongiurare il rischio che l’acrimonia interpersonale possa generare una rappresentazione (anche inconsciamente) adulterata delle vicende narrate.
[…]
Nella vicenda descritta nel paragrafo che precede, un dato va senz’altro sottolineato: la creazione di fondi neri si inscrive negli anni 2003-2005, ossia nello stesso periodo in cui, secondo DI FRANCESCO, MONTANTE aveva deciso di finanziare la sua futura ed auspicata collaborazione con la giustizia, al fine di accusare IACUZZO.
Nella stessa direzione, che segnala l’enorme disponibilità, da parte di MONTANTE, di denaro contante, militano le dichiarazioni rese da Massimo ROMANO (coimputato, giudicato con il rito ordinario), a proposito della richiesta, rivoltagli dal primo tra il novembre e il dicembre 2014, di cambiargli in banconote di piccolo taglio la somma complessiva di € 100.000 o € 300.000,
che lo stesso possedeva in biglietti da € 500,00 (dichiarazioni rese il 26 settembre 2015, in sede di sommarie informazioni testimoniali, prima che lo stesso venisse indagato, e confermate il 18 luglio 2016, in sede di interrogatorio).
[…]
E’ pertanto evidente come, già a partire dall’epoca indicata da DI FRANCESCO, ossia il 2004-2005, MONTANTE disponesse effettivamente di significative riserve occulte da destinare ai fini più diversi e che, pertanto, ben avrebbero potuto finanziare un’insolita attività di “mecenatismo giudiziario” come quella che intendeva praticare ai danni di IACUZZO.
Un mecenatismo che, ovviamente, appare del tutto eccentrico, intanto perché l’iniziativa proveniva evidentemente dal “pulpito” meno appropriato, dovendo, piuttosto, MONTANTE giustificare le operazioni di manipolazione contabile nelle proprie società, che, come ampiamente dimostrato, conducevano alla sistematica formazione di riserve occulte; in secondo luogo in quanto, mediante
il foraggiamento personale della collaborazione di DI FRANCESCO, MONTANTE avrebbe introdotto una forma singolare di inedito il progetto di finanza applicato alla giustizia, che non è previsto da alcuna norma di legge: il privato che finanzia l’attività di collaborazione di un mafioso con la giustizia, nella prospettiva di un ritorno nel lungo periodo (grazie alla auspicate propalazioni di DI FRANCESCO sul conto di IACUZZO); in terzo luogo, perché l’agognata collaborazione appariva ex ante indirizzata verso un obiettivo ben selezionato, che era la vulnerazione di IACUZZO; infine, poiché le modalità di attuazione di tale eccezionale project fínancing prevedevano la mediazione di V. ARNONE, boss di Serradifalco, il quale avrebbe dovuto esporre a DI FRANCESCO tale progetto.
D’altra parte, sul piano della grammatica probatoria si potrebbe osservare che il dato in sé della disponibilità, in capo a MONTANTE, di riserve occulte, appare neutro in sede di verificazione delle dichiarazioni di DI FRANCESCO, in quanto non risulta specificamente provato che tali riserve sarebbero state impiegate (anche) per finanziare il progetto di “conversione” del mafioso DI FRANCESCO in un collaboratore di giustizia.
Tale osservazione, com’è evidente, coglierebbe nel segno soltanto se tale dato venisse isolato e segregato da tutti gli altri elementi di riscontro, quali l’accertata idiosincrasia intercorrente tra MONTANTE e IACUZZO, nonché l’assunzione dell’iniziativa, da parte del primo ai danni del secondo, di ordinare l’accesso abusivo al sistema informatico della polizia e di aizzare la Guardia di
Finanza.

§ 8.4. Il finanziamento della campagna elettorale di Totò Cuffaro
Gli argomenti testé affrontati immettono nella trattazione di un nuovo capitolo della vicenda MONTANTE, che, sebbene non costituisca oggetto di imputazione, dà la misura dei metodi e dei mezzi utilizzati dallo stesso per la edificazione del proprio potere: il finanziamento della compagna elettorale di Salvatore, inteso Totò, CUFFARO per la presidenza della regione siciliana, nell’anno 2001.
In particolare, se VENTURI dichiarava, per averlo appreso da MONTANTE, che quest’ultimo aveva finanziato in “nero” la campagna elettorale de qua (cfr. verbale di sommarie informazioni testimoniali del 12 novembre 2015: “Ricordo anche che il MONTANTE era solito ripetere che “pagava la campagna elettorale a tutti” e che “spendeva un sacco di soldi”; ciò mi ebbe a dire anche con specifico riferimento a CUFFARO in re/azione all’elezione nel 2001 a Presidente della Regione, specificandomi che aveva erogato contributi economici “in nero”, anche se non mi disse l’importo”), analoghe affermazioni, opportunamente captate dagli investigatori, venivano ripetutamente fatte da Michele TROBIA, colui che, per sua stessa ammissione, aveva avuto il merito, grazie alla gestione del circolo del tennis, di avere introdotto MONTANTE nel livello più alto della società cittadina, dandogli la possibilità di entrare in contatto con diverse autorità locali.
Ebbene, proprio il predetto TROBIA, come si evince dalle intercettazioni in atti, mostrava di essere a conoscenza del finanziamento, non tracciato, della campagna elettorale di Totò CUFFARO, per un ammontare pari a 800.000,00 di lire, da parte di MONTANTE, del quale egli era stato il portaborse, così avendo goduto di una visione privilegiata e diretta di tale vicenda.
Si ricava, inoltre, dalle esternazioni di TROBIA come MONTANTE, grazie ai suoi metodi mercantili, fosse riuscito a costruire un rapporto particolarmente confidenziale con CUFFARO, tanto che il predetto MONTANTE, avendo portato con sé TROBIA presso l’allora presidente della Regione siciliana per raccomandare la figlia in un concorso pubblico, non aveva fatto alcuna
anticamera nel palazzo della Regione e, anzi, aveva immediatamente parlato con il presidente benché fosse in corso una riunione della Giunta regionale. Il contesto colloquiale nel quale tali affermazioni venivano fatte imprime loro un’impronta di spontaneità, connotazione che, insieme alla loro coerenza intrinseca e alla loro costanza contenutistica nel tempo, vale a fondare un
giudizio di ragionevole veridicità.
In una di tali circostanze conversative, l’interlocutore di TROBIA era addirittura la moglie, sicché non è possibile adombrare il sospetto che le sue asserzioni potessero perseguire sottese finalità strumentali nel gioco delle aggregazioni e disgregazioni dei gruppi di potere tra sostenitori e detrattori di MONTANTE.
L’ordinanza cautelare (da p. 234) contiene la rassegna delle diverse occasioni nelle quali TROBIA ebbe a parlare sia dell’episodio della consegna, da parte di MONTANTE a CUFFARO, della borsa contenente 800.000,00 di lire, sia l’ulteriore episodio della visita del primo al secondo, nel palazzo della Regione, per la segnalazione in favore della figlia del medesimo TROBIA:
Ulteriore e ben più pregnante conferma alle dichiarazioni del VENTURI proviene, però, dal contenuto di una conversazione tra presenti captata all’interno degli uffici della SIDERCEM dello stesso VENTURI ed intercorsa tra quest’ultimo, ROMANO Massimo e TROBIA Michele, soggetto che (come si dirà di qui a poco) è emerso nel corso dell’odierno procedimento in strettissimi rapporti con lo stesso MONTANTE.
La conversazione in questione intercorreva il giorno successivo alla pubblicazione dell’articolo sul quotidiano “La Repubblica” avente ad oggetto l’intervista rilasciata dallo stesso VENTURI (su cui si tornerà diffusamente nel prosieguo).
In tale occasione, per ciò che qui rileva, i presenti facevano esplicito riferimento alla figura del MONTANTE ed in particolare il TROBIA inizialmente raccontava il contenuto della telefonata avuta, quella stessa mattina, proprio col MONTANTE, che, nel mostrarsi molto agitato, gli aveva parlato delle dichiarazioni che aveva letto sul giornale del VENTURI.
Successivamente, sempre il TROBIA rammentava l’epoca in cui ebbe a conoscere il MONTANTE, facendo riferimento al momento in cui era sorto il torneo di tennis della città di Caltanissetta, ad agosto di 17 anni orsono, occasione nella quale lo stesso MONTANTE si adoperava per “conoscere gente che poi effettivamente ha conosciuto”.
Il TROBIA, inoltre, rammentava al ROMANO – che aveva cercato di postergare la sua amicizia col MONTANTE al momento in cui Rosario CROCETTA era stato Sindaco di Gela – come questi già lo conoscesse nel momento in cui egli entrò i rapporti col MONTANTE, tanto che in quell’occasione gli aveva mostrato borse piene di cambiali che diceva essere del ROMANO e anche soldi in contanti.
Il ROMANO, in maniera assai eloquente, cercava di prendere le distanze da quegli accadimenti, ma il TROBIA proseguiva nel racconto riferendo ulteriori circostanze che, come si diceva poc’anzi, offrono una straordinaria conferma all’assunto che qui si sta sostenendo.
Ed invero, si aveva modo di udire il TROBIA testualmente riferire ai presenti: ”Poi
le altre borse con Toto’ CUFFARO! Le altre borse che deposito’ a casa mia…ca’ ci su 800 milioni…ca ‘ ci su 600 milionì….” .
Il ROMANO chiedeva, quindi, se avesse materialmente visto questi soldi ed il TROBIA rispondeva, ancora una volta, testualmente “come no! li abbiamo portati assieme a Toto’ CUFFARO! a muglieri ca…scusami…a muglieri ca mi dissi…dici…allora Antonella…(R1STAGNO n.a’.r.) una volta lei me lo disse quello ca c’era ddra intra…. “perche’ non mi restituisce i soldi – dici – ca….i sordi ca gli
avete dato tu e mio marito!” […]
Ed invero, in primo luogo, viene in rilievo un’ulteriore conversazione avuta dal TROBIA in data 6.3.2016 con l’avvocato Pietro RABIOLO, conversazione che verrà anche ripresa più oltre poiché rilevante per altri aspetti che dalla stessa sono pure emersi.
Per ciò che qui rileva, in quella circostanza il TROBIA, oltre a confermare quanto già era emerso dalla confidenza fatta al VENTURI ed al ROMANO, narrava altre vicende che consentono di ipotizzare come le elargizioni di danaro effettuate dal MONTANTE in favore del CUFFARO avessero come finalità ultima quella di orientare Fazione di governo di quest’ultimo per il perseguimento dei propri interessi.
Il TROBIA, infatti, dopo aver premesso al suo interlocutore, tra le altre cose, come il MONTANTE dovesse ritenersi una “persona pericolosissima”, evidenziava di essere stato coinvolto, per iniziativa dello stesso in situazioni “gravi” ed “assurde”, che velatamente esplicitava riferendo di “essere stato un portaborse…di essere stato un distributore di mazzette magari…ma mazzette parliamo di centinaia di milioni ah… ”.
Il collegamento con la sopra riportata conversazione tra presenti avvenuta all’interno della SIDERCEM consente di ritenere, in maniera inequivocabile, che proprio alle vicende già riferite al ROMANO ed al VENTURI stesse facendo riferimento il TROBIA nella conversazione avuta col RABIOLO e ciò vieppiù laddove si consideri l’ulteriore prosieguo del dialogo avvenuto con questi.
Il TROBIA, infatti, precisava al RABIOLO che, sebbene si fosse prestato al compimento di condotte gravi per il MONTANTE, non aveva mai chiesto allo stesso alcun favore se non in una occasione affinché la figlia Alessia potesse vincere un concorso pubblico a1l’ASP.
Sempre a dire del TROBIA il MONTANTE si era rivolto allo scopo proprio a Totò CUFFARO, il quale si era messo subito a disposizione con le modalità che sarà possibile ricavare dalla lettura delle parole pronunciate dallo stesso TROBIA, non essendo altrettanto efficace qualsivoglia possibile sintesi del suo pensiero: “non ho chiesto niente…se non quando è stato necessario una mano d ‘aiuto con Alessia che on…per Alessia che onestamente mi stava dando…e mi ha dato…se
non fossimo incappati…in un problema di sfortuna su questo piano lo rimpiango…Alessia è stata sfortunata perché per le possibilità che ha avute…rare proprio uniche anche è stata sfortunata perché gli eventi i fatti ci hanno purtroppo punito…ma a volte sai fatti di di un mese…bastava un mese per dire e riuscivamo ad ottenere quello che desideravamo…era quello di vincere il concorso pubblico della sua qualifica delle ASP…purtroppo…un fatto di mera sfortuna…però si era reso disponibile…anche perché non gli costava niente và…raccomandava a tutti…io entravo con lui in piena Giunta regionale con Totò Cuflaro…arrivavamo con la macchina…quella con la scorta…con la macchina della scorta e noi dentro fino davanti l’ascensore…con i custodi a Palazzo Orléans drà…Presidente… con la macchina fino davanti l ‘ascensore…scendevamo usavamo l ‘ascensore non si chiedeva dov ‘era Cuflaro lui entrava direttamente io dietro la porta…lui entrava nel salone della Giunta…nessuno lo bloccava…iva drà…a porta arristava aperta lui si chinava a Totò Cujj’aro…(inc.) chiddru si alzava usciva fuori trasiva nà so stanza e parlavano…dici c ‘era da…ama parlari cu u diretturi generali… tu pezzu di merda vidi di arricampariti entro mezz’ora…chiddru Presidè com ‘è…a viva voce questo…mezz ‘ora come faccio mancu cu l’elicotteru arrivu….chi minchia m’interessa tra n’ura a d ‘essiri cà ciao…e ci chiuiva u telefunu…arrivava u diretturi generali…u diretturi sanitario…e tutti pronti…che dovevano quindi figurati …ha fatto approvare il piano sanitario di questa merda di ASP in tre mesi che ci vogliono tre anni…quattro anni…però sono stato sfortunato…perche’ poi dà manciata di cannoli di merda e l’arristaru dopu quinnici iorna…dico si sti cannola si verqicavanu dopu tri misi…sta cazzu di sentenza veniva fuori dopu tri misi avevamo risolto già il problema…quindi per me dico si è prestato…”.
[…] Le circostanze relative all’interessamento chiesto dal TROBIA al MONTANTE affinché intercedesse con l’allora Presidente della Regione Salvatore CUFFARO per trovare una occupazione lavorativa alla figlia Alessia sono state confermate anche da Marco VENTURI (cfr. il già citato verbale del 4.8.2016) il quale ha evidenziato di averle apprese proprio dal TROBIA […] .
Laddove non bastasse, il TROBIA tornava in argomento anche con la moglie Rosanna lungo il tragitto di ritorno alla loro abitazione dopo aver presenziato al funerale della suocera del MONTANTE celebratosi il 3.11.2016.
Ed invero, in quella occasione il TROBIA ribadiva quanto aveva già fatto presente al ROMANO ed al VENTURI nella conversazione poc’anzi riportata e cioè che era stato lui stesso ad introdurre il MONTANTE presso soggetti aventi un ruolo istituzionale nella città di Caltanissetta, ambiente nel quale, in precedenza, non aveva alcuna presa tanto che gli era stato addirittura negato il rilascio del porto d’armi.
Il TROBIA in particolare sottolineava che l’allora prefetto LALLI, così come il Questore GIUFFRE” gli avevano fatto presente, inizialmente, di non avere molta fiducia nel MONTANTE e per tale ragione avevano anche rifiutato dei regali che l’imprenditore di Serradifalco aveva loro destinato per suo tramite e che erano alla fine rimasti nella sua disponibilità. Solo dopo le sue insistenze, l’allora Questore GIUFFRE’ aveva acconsentito a presenziare ad una cena ove vi era anche il MONTANTE.
Il TROBIA precisava anche che que1l°iniziale atteggiamento di chiusura era motivato dal fatto che fosse notorio, al tempo, che il MONTANTE distribuisse regali “a destra e a manca…per corrompere”, circostanza che egli sapeva essere rispondente al vero e ricordava che era una dipendente di sua fiducia – descritta fisicamente come una donna con i capelli ricci – ad occuparsene, tanto che una volta quest’ultima, nel consegnargli un regalo proprio del MONTANTE, gli aveva fatto presente di avere “na machina china di…di distribuiri regali…”.
[…] Successivamente – dopo aver parlato del Prof. Alessandro PILATO (che a dire del TROBIA rischiava di subire pesanti conseguenze giudiziarie essendosi prestato a fare da “prestanome” del MONTANTE ed avendo anche curato in maniera non ortodossa la contabilità delle società allo stesso riferibili, così permettendogli di evadere le tasse) – il TROBIA, sia pure in maniera un po” bizzarra, offriva altra conferma a ciò che era chiaramente emerso dalle intercettazioni poc’anzi riportate.
Ed invero, nel raccontare alla moglie di un sogno che aveva fatto quella notte, le evidenziava che si era rappresentato di aver avuto una lite con il MONTANTE in conseguenza della quale lo aveva minacciato di riferire al magistrato ciò che sapeva sul suo conto ed allo scopo si era messo in contatto col VENTURI poiché l’imprenditore di Serradifalco aveva mostrato di non credere alle sue parole.
Il VENTURI gli aveva chiesto perché volesse rendere dichiarazioni all’autorità giudiziaria ed egli gli aveva risposto “ppù discursu di cosa…di Totò Cuffaro, ca ci dettiru ottocento milioni, lo posso testimoniare io…”. Il MONTANTE aveva quindi appreso della serietà delle sue intenzioni ed aveva chiesto di incontrarlo, domandandogli, poi, se avesse le prove di ciò che andava affermando ed egli aveva risposto io posso testimoniare, io personalmente ho dato la borsa, io ho tenuto la borsa, io ho visto, quindi testimonia”, sicché il MONTANTE aveva seccamente replicato “e allura mista rovinannu…”.
Orbene, prescindendo dalle modalità – a dire il vero un po’ surreali – con le quali il TROBIA rammentava alla moglie quanto aveva già riferito al RABIOLO e, ancor prima, al ROMANO ed al VENTURI, ciò che rileva, a parere di questo Ufficio, è il successivo passaggio della conversazione, in cui né il TROBIA né la di lui moglie accennavano all’inverosimiglianza del “sogno” che il primo aveva raccontato ed anzi la BAIO sottolineava al marito che il MONTANTE con molta probabilità gli desse confidenza perché lo temeva proprio in virtù delle conoscenze di cui egli disponeva sul suo conto e lo invitava pure a rammentargli, ogni tanto, ciò che le aveva appena raccontato “ogni tanto ci l’avissitu a ricurdari_..t’arricurdi dici…”.
[…] Occorre, peraltro, sottolineare che l’attribuzione a MONTANTE, da parte di TROBIA, di una condotta scopertamente mercantile, con la distribuzione a largo raggio di doni per fini di captatio benevolentiae, non costituisce oggetto di una circostanza inserita nel suoi discorsi quale orpello argomentativo, rinvenendo essa un preciso aggancio probatorio in una nota, redatta in data 22 novembre 1992, dal Reparto Operativo dei Carabinieri di Caltanissetta su richiesta della
Procura della Repubblica di Genova.
La nota citata, che si inserisce nell’ambito di un procedimento nel quale Antonio Calogero MONTANTE e il padre Luigi erano stati arrestati, recitava in particolare che: “…Omissis… ” le due imprese sopra citate fanno capo alla famiglia di MONTANTE Luigi, nato a Serradifalco il 01.03.1935; il vero artefice delle “fortune” delle imprese, può però senz’altro considerarsi il figlio del suddetto, MONTANTE Antonio Calogero, nato a San Cataldo il 05.06.1963, il quale soprattutto opera per la ditta GIMON, cioè quella che produce e distribuisce ricambi, ammortizzatori e pezzi speciali per mezzi di autotrasporto. E’ lui infatti a muoversi per la “ricerca” di clienti e, stando ad informazioni assunte, pure per “contattare” quelle persone che possono favorire la GIMON
nell’acquisizione di forniture per le Pubbliche Amministrazioni. In effetti, fonte informativa di certa affidabilità ha riferito, a titolo di esempio, che il MONTANTE, in occasione delle festività natalizie, ogni anno è solito portarsi in Palermo con un furgone carico di “doni” che distribuisce negli uffici
della Regione Siciliana. In ogni caso è proprio per tale attività che MONTANTE Antonio ha chiesto ed ottenuto alcuni anni fa il rilascio della licenza per porto di pistola della quale è tuttora titolare”.
Come correttamente osservato in sede cautelare, non vi è ragione di ravvisare, nelle parole di TROBIA, elementi suggestivi di millanteria o di mendacio, in quanto la particolare prossimità tra quest’ultimo e MONTANTE era un fatto certamente noto a Caltanissetta, come confermato, oltre che da Marco VENTURI, anche da Giovanni CRESCENTE e, indirettamente, da Pasquale
TORNATORE.
CRESCENTE, infatti, dichiarava di essere stato incaricato da MONTANTE, nel 2006-2007, di occuparsi della erogazione dl un contributo per l’organizzazione del torneo presso il tennis club gestito dal TROBIA. L’anno successivo, invece, lo stesso MONTANTE lo aveva reso edotto che il contributo al circolo tennis in questione lo avrebbe erogato il CONFIDI (consorzio FIDI) di Caltanissetta, allora presieduto dal ROMANO Massimo.
[…] TORNATORE, a sua volta, rammentava di avere collaborato con il circolo del tennis, in particolare curando l’attività di comunicazione relativa all’organizzazione dei tornei, e di essere stato sollevato dall’incarico dopo l’ingresso nel circolo di VENTURI e ROMANO, per volontà di quest’ultimo, come riferitogli dallo stesso TROBIA.
Non può certo considerarsi un caso che la matrice “espulsiva” nei riguardi di TORNATORE provenisse da un soggetto, Massimo ROMANO, particolarmente vicino a MONTANTE, che nel frattempo aveva reciso i rapporti con il predetto TORNATORE.
Quest’ultimo, inoltre, confermava che il circolo del tennis era il luogo della scalata sociale, in quanto abituale convegno dei vertici delle istituzioni locali delle quali era possibile intraprendere la conoscenza, così confortando l’assunto di TROBIA per cui era stato merito suo se MONTANTE era riuscito ad inerpicarsi ai livelli più alti della società.
[…] Al fine di lumeggiare compiutamente il profilo etico di TRUBIA e sperimentarne l’abilità al compimento consapevole delle attività criminose, come quella relativa al concorso materiale al finanziamento illecito di CUFFARO, si consideri quanto emerso nel corso di altra intercettazione (progr. n. 398 del 15 gennaio 2016), in cui lo stesso TROBIA, dialogando con l’avvocato romano Enrico TOTI, dopo avere affermato di essersi rivolto ad un boss mafioso di Favara (AG) per
la risoluzione di un conflitto privato, ammetteva di avergli ricambiato il favore dando ospitalità, su sua richiesta, ad un latitante.
[…] In conclusione, possiamo ritenere assolutamente provato il finanziamento occulto della campagna elettorale di Totò CUFFARO da parte di MONTANTE, ciò che non costituisce oggetto di odierne imputazioni, ma avvalora senz’altro, sul piano storico, le affermazioni di Dario DI FRANCESCO sul progetto di MONTANTE di finanziare la sua collaborazione con la giustizia, al fine di accusare IACUZZO, essendo infatti incontrovertibile – ciò che emerge anche dalla descritta faccenda del finanziamento – che MONTANTE, già nel 2001, disponeva di ingenti somme di denaro liquido.

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