Il finto rapimento di Michele Sindona

Da ultimo, e non in ordine di importanza, si deve ricordare che nel corso dell’istruzione è stata altresì considerata l’ipotesi che vi potesse essere un qualche rapporto tra l’assassinio del Presidente della Regione e la presenza in Sicilia, nell’estate del 1979, di Michele SINDONA, circostanza più volte sottolineata ad esempio dalla vedova LA TORRE, anche sulla stampa.
Come è ben noto, il finto rapimento del «finanziere» di Patti, la sua permanenza per circa due mesi in Sicilia e particolarmente nella zona di Palermo, il ruolo che in questa vicenda hanno avuto alcune appartenenti alla massoneria nonché gli esponenti di alcuni delle più importanti “famiglie” di “Cosa Nostra” siciliana e americana, hanno formato oggetto in tutti questi anni di una accuratissima attività di indagine sia da parte di più Autorità giudiziarie (e cioè quelle di Milano, Roma e Bologna oltre che di Palermo), sia da parte della Commissione parlamentare d’inchiesta sul “caso SINDONA”.
Questa imponente mole di accertamenti e riscontri non ha consentito, purtroppo, di chiarire tutti i punti della vicenda.
E’ stato, però, possibile ricostruire con precisione molte delle circostanze fondamentali, nonché il ruolo svolto da persone e gruppi spesso tra loro molto diversi.
Per quanto riguarda, in particolare, la ricostruzione dei fatti connessi al finto rapimento del SINDONA, si può qui riportare, attesa la precisione degli-approfondimenti, quella. effettuata dalla citata Commissione parlamentare d’inchiesta.
Questo perché la stessa, in particolare, si è basata – a sua volta – sugli accertamenti dei Giudici Istruttori di Milano e di Palermo nonché su alcuni ulteriori accertamenti svolti dalla stessa Commissione.
“SINDONA scomparve da New York il 2 agosto 1979, quando era passato meno di un mese da che il giudice WERKER aveva revocato li provvedimento di estradizione e quando il bancarottiere, che intanto aveva ottenuto la liberazione dalla cauzione (in precedenza prestata) di beni della moglie e della figlia, avrebbe dovuto comparire, il 10 settembre successivo, davanti all’autorità giudiziaria, in relazione al fallimento della Franklin.
Per lasciare New York, SINDONA si servì di un falso passaporto intestato a Joseph BONAMICO e partì dall’aeroporto Kennedy con un volo diretto a Vienna, accompagnato da Antonio CARUSO, che aveva acquistato i biglietti con denaro procuratogli da Joseph MACALUSO.
Giunto a Vienna, SINDONA, invece di proseguire in macchina per Catania come era nei programmi, si era invece recato a Salisburgo, dove aveva preteso, telefonandogli, che lo raggiungesse anche MACALUSO.
Costui, CARUSO e SINDONA avevano fatto quindi ritorno a Vienna dove avevano alloggiato all’Hotel Intercontinental dal 4 al 5 agosto 1979.
In questa data, quindi, Antonio CARUSO era tornato a New York, mentre MACALUSO si sarebbe recato a Catania.
A sua volta, SINDONA era partito per Atene, tanto che il 6 agosto aveva alloggiato all’Hotel Hilton di quella città.
Successivamente, SINDONA era stato raggiunto ad Atene, in tempi diversi, da MICELI CRIMI, Giacomo VITALE, Francesco FODERA’, Ignazio PUCCIO e Giuseppe SANO, cugino di MACALUSO.
Dopo alcuni giorni, quindi, SINDONA e i suoi amici abbandonarono l’idea, avanzata in un primo tempo, di raggiungere l’Italia con un’imbarcazione privata guidata dal PUCCIO e si imbarcarono invece per Brindisi su una comune nave di linea.
Secondo il programma originario essi avrebbero dovuto recarsi a Catania, dove SINDONA avrebbe dovuto prendere alloggio in una villa, che gli avrebbe dovuto procurare MACALUSO.
Il rifugio però era diventato indisponibile per motivi rimasti ignoti e pertanto, una volta sbarcati a Brindisi, MICELI CRIMI e PUCCIO proseguivano in taxi per Taranto e quindi in treno per Palermo, mentre SINDONA, insieme a VITALE e FODERA’, si recava a Caltanissetta, dove giungeva nella notte tra il 15 e il 16 agosto.
A Caltanissetta, SINDONA era atteso da Gaetano PIAZZA, un professionista avvertito da MICELI CRIMI, e da Francesca Paolo LONGO, amica intima di MICELI.
Dopo aver cenato tutti insieme, VITALE e FODERA’ andarono via, mentre SINDONA e la LONGO rimasero ospiti del PIAZZA.
Il giorno seguente, quindi MICELI CRIMI (che intanto aveva raggiunto Palermo), si recò a Caltanissetta e da qui il PIAZZA accompagnò in macchina lui, SINDONA e la LONGO nel capoluogo siciliano dove pertanto SINDONA giunse il 17 agosto, prendendo alloggio in casa della LONGO.
In seguito, dopo l’arrivo in Sicilia di John GAMBINO, e precisamente il 6 settembre 1979, SINDONA si trasferì in un villino di proprietà dei suoceri di Rosario SPATOLA, sito in contrada Piano dell’Occhio di Torretta, di cui lo stesso SPATOLA aveva consegnato le chiavi al GAMBINO, sia pure (secondo la sua versione) per un ragione del tutto diversa da quella reale.
Intanto, fin dai primi giorni della sua fuga, SINDONA, evidentemente aiutato dai suoi amici, aveva cercato di accreditare la tesi del rapimento, inviando una serie di messaggi ai suoi familiari, al genero Pier Sandro MAGNONI e al difensore avvocato GUZZI.
In questi messaggi, SINDONA sosteneva di essere stato rapito da un “gruppo proletario eversivo per una giustizia migliore”, e, in particolare nelle lettere inviate all’avvocato GUZZI, precisava che i suoi rapitori avevano bisogno di numerosi documenti, concernenti i suoi rapporti con il mondo politico e finanziario italiano, e, tra l’altro, della “lista dei 500”.
In genere le lettere (ad una delle quali era allegata una fotografia SINDONA, con un cartello con la scritta: “il giusto processo lo faremo noi”) erano scritte a macchina dallo stesso SINDONA, ma ce n’è anche una, caratterizzata da toni minacciosi, scritta a mano sempre da SINDONA personalmente.
Tutte le missive, contenute in buste con i nomi dei destinatari venivano quindi consegnate a MACALUSO, CARUSO o altri, che provvedevano a impostarle negli USA, ovviamente allo scopo di dare ad intendere che SINDONA si trovava colà e non in Sicilia.
Sempre nello stesso periodo del falso rapimento e con scopi ricattatori o di richiesta di denaro o di documenti, numerose telefonate vennero fatte da persone che si facevano passare per i rapitori di SINDONA, agli avvocati GUZZI e Agostino GAMBINO.
Tra le altre si possono ricordare le telefonate estorsive o di sollecitazione dell’invio di documenti ricevute il 3 e il 18 settembre 1979 dall’avvocato GUZZI, quella del 26 settembre 1979 all’avvocato GAMBINO, con la quale si chiedeva un incontro che sarebbe dovuto avvenire di lì a qualche giorno, e quelle ancora del 1, 5 e 8 ottobre, sempre dirette ai due avvocati.
Inoltre, il 18 settembre 1979 fu inviata da Roma una lettera minatoria a Enrico CUCCIA, che SINDONA – com’è noto – riteneva uno dei suoi più accaniti nemici, mentre il 5 ottobre la porta d’ingresso della abitazione milanese di CUCCIA veniva data alle fiamme e successivamente la figlia di CUCCIA riceveva una telefonata minatoria, con un esplicito riferimento all’incendio della porta.
Alcune lettere risultano peraltro inviate anche alla figlia di SINDONA e al genero Pier Sandro MAGNONI che deve fondatamente ritenersi, come risulta dalle indagini compiute dai giudici milanesi e siciliani e come mette in evidenza il giudice istruttore di Palermo nel provvedimento conclusivo dell’istruzione (v. pag.831), fossero a conoscenza di quanto era in effetti avvenuto per esserne stati informati dallo stesso MICELI CRIMI, in un viaggio compiuto a New York durante la scomparsa di SINDONA.
Nell’ultima lettera al genero, che è tutta una serie di allusioni e di avvertimenti in cui vengono fornite notizie e impartite istruzioni, spesso scritte come in un linguaggio cifrato, si fa tra l’altro riferimento alla circostanza che l’avvocato di Roma sarebbe stato contattato martedì o mercoledì 26 (settembre) con “notizia drammatica certamente documentabile”.
Si tratta, com’è chiaro, di una allusione che non può essere interpretata se non come il preannuncio del ferimento di SINDONA, da lui stesso fermamente voluto, da parte di MICELI CRIMI.
Al riguardo, le istruttorie giudiziarie in corso hanno accertato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il 25 settembre 1979, nel villino della Torretta, alla presenza della LONGO e di John GAMBINO, MICELI Crimi ferì SINDONA, su sua pressante richiesta, sparandogli un colpo di pistola alla gamba, dopo- aver preso le opportune precauzioni per evitare che si potesse accertare che il colpo era stato sparato a bruciapelo.
Il ferimento, voluto da SINDONA evidentemente al fine di rendere più attendibile il sequestro, costituì d’altro canto, per così dire, il primo passo della decisione da lui presa di tornare negli Stati Uniti.
Infatti, dopo tre giorni la ferita era già rimarginata e SINDONA il 10 ottobre si trasferì nuovamente in casa della LONGO.
Successivamente, il 2 ottobre, veniva spedita da Milano una lettera all’avvocato GUZZI, nella quale si comunicava che SINDONA avrebbe dovuto incontrarsi a Vienna 1’11 ottobre con lo stesso GUZZI e con l’avvocato GAMBINO, che pertanto per quella data avrebbero dovuto prendere alloggio all’Hotel Intercontinental.
Senonché da una successiva telefonata dell’8 ottobre risultò che GUZZI non aveva ancora ricevuto la lettera e allora la LONGO provvedeva a telefonargli da una cabina pubblica, per comunicargli che l’indomani un corriere gli avrebbe recapitato una lettera dei “rapitori” di SINDONA.
La lettera fu come al solito compilata da SINDONA che quindi quello stesso giorno (8 ottobre) lasciò la casa della LONGO a Palermo, insieme con GAMBINO, non mima che la donna fosse stata avvertita che in serata il messaggio per GUZZI sarebbe stato ritirato da una persona di fiducia.
Infatti, verso le 18, Rosario SPATOLA ritirò il plico, per consegnarlo quindi, affinché lo recapitasse a GUZZI, al fratello Vincenzo.
Costui però, alle ore 9,45 del 9 ottobre 1979, veniva arrestato, subito dopo aver consegnato la lettera all’avvocato GUZZI, dando così l’avvio alla fase delle indagini, che si è rivelata decisiva per scoprire la messinscena di SINDONA.
Intanto, fallito l’incontro di Vienna, SINDONA si era recato a Francoforte e da qui il 13 ottobre 1979 aveva raggiunto in aereo New York dove era rimasto nascosto nel motel Conca d’Oro di Staten Island, per farsi poi trovare la mattina del 16 ottobre, in una cabina telefonica di Manhattan, in condizioni fisiche, che aveva volontariamente provveduto a far degradare per assumere l’aspetto di un vero sequestrato…” (Relazione AZZARO pag. 169-171; ma si deve notare che sulla ricostruzione del finto rapimento di Michele SINDONA e dei suoi rapporti con “Cosa Nostra” concordano sostanzialmente anche le relazioni di minoranza).
In buona sostanza, è da ritenere per certo che il finto sequestro di Michele SINDONA fu gestito dalla mafia in tutte le sue fasi, da quella preparatoria a quella finale del rientro negli U.S.A.; altrettanto importante è stato – come si è visto – il ruolo di alcune logge massoniche.
Osserva a questo proposito la già citata relazione della Commissione parlamentare di inchiesta:
“E’ d’altra parte risultato, secondo quanto si è detto in precedenza, che, nei suoi vari spostamenti che da New York lo portarono prima a Caltanissetta e poi a Palermo, Sindona venne aiutato e materialmente accompagnato, oltre che da MICELI CRIMI, da altri personaggi tutti appartenenti al mondo della mafia quali MACALUSO, VITALE, FODERA’, PUCCIO.
Un ruolo di primo piano svolse in questa fase Giacomo VITALE, col quale MICELI CRIMI prese contatto, facendo intervenire, con una telefonata, Michele BARRESI, che in precedenza glielo aveva presentato.
Il VITALE, sempre secondo il racconto di MICELI CRIMI, saputo che si trattava di aiutare un fratello massone, quale era SINDONA, non fece difficoltà di sorta, occupandosi in prima persona dell’organizzazione del viaggio di SINDONA in Sicilia, e procurando l’attiva partecipazione all’impresa di FODERA’ e di PUCCIO.
A Caltanissetta, secondo ciò che si è detto, intervennero il PIAZZA, che era stato presentato a MICELI CRIMI da quel funzionario massone della Regione, BELLASSAI, del quale si è pure detto prima; nonché la LONGO, anche essa massone e legata da un legame di affettuosa amicizia con MICELI CRIMI.
A Palermo, infine, è appena il caso di ricordarlo, SINDONA fu ospite prima della LONGO e dopo l’arrivo in Sicilia di John GAMBINO nel villino della Torretta, appartenente ai suoceri di Rosario SPATOLA, che lo stesso SPATOLA aveva messo a sua disposizione.
In questo periodo anche altre persone, come ad esempio il fratello di Joseph MACALUSO, Salvatore, e come gli INZERILLO, tra cui Salvatore, poi ucciso nel 1981, ebbero una parte non sempre marginale nell’impresa di SINDONA; mentre dal canto suo Pier Sandro MAGNONI si era spostato in Spagna dove avrebbero dovuto raggiungerlo Joseph MACALUSO e l’avvocato AHEARN, con l’intento, tra l’altro, di cercare di creare attraverso la stampa (anche provocando l’eventuale intervento di Leonardo SCIASCIA) un’opinione pubblica favorevole a SINDONA.
Questo massiccio intervento della mafia a favore di SINDONA trova peraltro ulteriore riscontro nelle numerose telefonate che, durante la permanenza in Palermo dell’interessato, si intrecciarono, così come ha accertato il giudice di Palermo, tra personaggi della mafia siciliana, tra cui in primo luogo lo SPATOLA, e persone appartenenti in America al clan di John GAMBINO; mentre molte chiamate raggiunsero dagli USA le utenze di mafiosi siciliani, tra cui anche quelle degli INZERILLO.
In particolare, il giudice istruttore ha anche potuto stabilire che il 10 settembre 1979, e cioè il giorno prima della partenza per la Svizzera di Vincenzo SPATOLA, dall’utenza telefonica americana di Erasmo GAMBINO era pervenuta una telefonata nella abitazione di Macia RADCLIFF, convivente con un nobile siciliano, che successivamente avrebbe ammesso di aver conosciuto ed anche aiutato in una determinata circostanza Salvatore INZERILLO.
Anche il ritorno di SINDONA negli Stati Uniti fu favorito ed anzi organizzato da una parte di quelle stesse persone che lo avevano aiutato a raggiungere la Sicilia, in primo luogo da John GAMBINO.
La partenza fu preceduta dal cambio di un assegno di 100.000 dollari, effettuato presso la Sicilcassa di Palermo da Rosario SPATOLA mediante l’utilizzazione del falso passaporto di Michele SINDONA, intestato a Joseph BONAMICO.
Inoltre Joseph MACALUSO, ai primi di ottobre, raggiunse dall’America Catania, insieme con l’avvocato AHEARN e con la moglie di quest’ultimo.
Subito dopo i tre, insieme con Salvatore MACALUSO, si erano recati a Palermo e qui i due MACALUSO avevano parlato con SINDONA, evidentemente per discutere le modalità del rientro negli USA. Quindi, dall’8 al 9 ottobre, Joseph MACALUSO, la moglie di questi e i coniugi AHEARN avevano alloggiato a Taormina e la notte successiva all’Hotel Jolly di Roma.
In tutti i casi, come egli stesso ha ammesso davanti alla Commissione, i conti degli alberghi erano stati pagati dall’imprenditore GRACI, che ha affermato di aver fatto ciò per ricambiare una cortesia, ricevuta dal MACALUSO, anche se non aveva gradito che gli fosse stato addebitato dall’Hotel Jolly anche il conto degli ospiti americani del MACALUSO. Non c’è dubbio, infine, che nella fase finale del viaggio per l’America uno degli accompagnatori di SINDONA fu John GAMBINO.
A queste protezioni e a questo aiuto che SINDONA ricevette per realizzare il suo disegno, bisogna aggiungere quello della massoneria.
In proposito sono già significativi i nomi tante volte ricorrenti della LONGO, del PIAZZA, del BELLASSAI, del BARRESI e dello stesso MICELI CRIMI, sempre che quest’ultimo si limiti ad essere un massone e la sua personalità non abbia invece (come si potrebbe evincere da quanto si è riferito riguardo ai colloqui circa la sua appartenenza alla CIA) risvolti ed aspetti ben più inquietanti.
Ma a tutto ciò bisogna aggiungere che, secondo le dichiarazioni da lui rese alla Commissione, MICELI CRIMI, durante la permanenza di SINDONA a Palermo, si recò ad Arezzo per parlare, su incarico di SINDONA, con Licio GELLI.
A GELLI, MICELI CRIMI si sarebbe limitato a dire quanto gli aveva suggerito lo stesso SINDONA.
In particolare, gli avrebbe domandato se non gli sembrava eccessivo il linciaggio morale a cui SINDONA era stato sottoposto e alla sua risposta positiva gli avrebbe rimproverato di non avere fatto niente, per cercare di attenuare questo linciaggio.
GELLI allora gli avrebbe risposto che qualcosa aveva fatto e che gli effetti si sarebbero visti il giorno successivo.
MICELI CRIMI quindi gli avrebbe chiesto se avrebbe potuto fare qualcosa ove la famiglia di SINDONA si fosse trovata in condizioni di bisogno; al che GELLI gli avrebbe detto che, se la famiglia aveva bisogno, doveva farglielo sapere, perché lui avrebbe cercato di muovere le persone adatte.
A GELLI, sempre a suo dire, MICELI CRINI avrebbe parlato di SINDONA come di un rapito, ponendo le domande suggeritegli da SINDONA stesso come se fossero sue; ma la LONGO ha sostenuto di credere che GELLI sapesse che SINDONA si trovava in Sicilia…”.
(Relazione AZZARO fg. 172 – 174, citata)
Quanto poi agli scopi del finto sequestro e della permanenza di SINDONA in Sicilia, MICELI CRIMI ha dichiarato ai giudici di Palermo e Milano – nella prima fase delle indagini – che, secondo quanto comunicatogli dal SINDONA, che peraltro parlava pochissimo dei suoi fini e delle sue reali intenzioni, il viaggio del finanziere in Europa e in Sicilia doveva avere due obiettivi:
– il primo quello di favorire la riunificazione della massoneria (che era poi l’obiettivo che – a suo dire – muoveva realmente MICELI CRIMI) e di mettere in moto un tentativo separatista della Sicilia, in una chiave che si ricollegasse agli ideali massonici, antiateisti e anticomunisti, per estendere quindi questi ideali a tutta l’Italia;
– l’altro obiettivo era quello di ricercare in Italia documenti che avrebbero potuto aiutare SINDONA nelle sue vicende di carattere finanziario e giudiziario, anche fornendogli strumenti di pressione se non di vero e proprio ricatto nei confronti di esponenti del mondo politico, economico e delle istituzioni (si pensi al famoso “tabulato dei 500”, mai ritrovato, e che sembra fosse relativo a illegali esportazioni di capitali all’estero).

Peraltro lo stesso MICELI CRIMI riferiva che durante la permanenza in Grecia, e prima ancora dell’arrivo degli altri, SINDONA lo aveva informato che il “golpe” separatista non era più attivabile, per cui egli si era reso conto, a quel punto, che la storia del “golpe” era stata un pretesto e che il Sindona in realtà voleva solo rientrare in possesso di documenti ritenuti molto importanti nella sua strategia.
E, del resto, questa era la richiesta formulata in tutte le lettere recapitate all’avv. Guzzi nonché l’unico oggetto di due lettere dirette dal SINDONA alla figlia e al genero ed acquisite agli atti (in fotocopia), nelle quali il SINDONA non scriveva nulla del “golpe separatista” ma impartiva istruzioni rientranti nella complessiva manovra da lui posta in essere per acquisire documenti e per creare un’opinione pubblica a lui favorevole.
Nella sentenza-ordinanza del 25.1.1982. conclusiva del procedimento penale contro SPATOLA Rosario ed altri, il Giudice Istruttore del Tribunale di Palermo, riassumendo l’esito delle minuziosissime indagini svolte anche dall’Ufficio Istruzione del Tribunale di Milano, ha così riepilogato gli esiti dell’attività istruttoria:
“Le indagini relative ai motivi della presenza del SINDONA in Italia, ed a Palermo in particolare, ancora non sono concluse.
Può affermarsi, però, che il tentativo separatista era un mero pretesto, mentre i veri motivi erano ben altri:
– anzitutto, quello di rientrare in possesso di documenti assai compromettenti per personaggi autorevoli del mondo politico-finanziario per ottenere con l’arma del ricatto, consistenti appoggi nei procedimenti penali a suo carico;
– in secondo luogo, quello di cercare di riabilitare la sua immagine pubblica, mediante un’accorta campagna di stampa che lo presentasse come vittima di oscuri intrighi”. (pag. 828, sentenza-ordinanza citata).

Sostanzialmente analoga è, a questo proposito, la valutazione della Commissione parlamentare di inchiesta, che ha però posto l’accento anche sulla pluralità di contatti e di incontri avuti da SINDONA durante la sua permanenza a Palermo con molte persone (delle quali è stato possibile identificare solo una parte), così da affermare che dalle indagini erano emersi: “segni di un tentativo, compiuto da SINDONA con il viaggio in Sicilia, non tanto di avere documenti che gli potessero servire, quanto di entrare in diretto contatto con persone che potessero venirgli concretamente in aiuto in un momento così difficile della sua vicenda che doveva precedere di poco il definitivo riconoscimento, negli U.S.A., delle sue irrefutabili e gravissime responsabilità”.
(Relazione Azzaro, pag.178).
Come si è già detto, le indagini sono continuate anche dopo la definizione del procedimento penale dianzi ricordato e altresì dopo la conclusione dei lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta.
Anche alla luce di nuove acquisizioni da parte dell’Autorità giudiziaria di altre città, in ordine ai contatti tra Joseph MICELI CRIMI e Licio GELLI, ai rapporti fra il SINDONA e i protagonisti del dissesto del Banco Ambrosiano, alla bancarotta delle banche di SINDONA e all’omicidio del liquidatore di una di esse, l’avv. Giorgio AMBROSOLI, nonché, infine, al ruolo che in alcune di queste vicende può avere svolto la loggia massonica P2, anche gli Uffici Giudiziari palermitani hanno preso nuovamente in considerazione la possibilità che il viaggio di SINDONA in Sicilia potesse avere avuto scopi ulteriori e più complessi di quelli accertati nella prima fase dell’istruzione, e ricollegabili ai gravissimi fatti di sangue che, sotto il segno del terrorismo eversivo di destra e della criminalità mafiosa, hanno colpito molte regioni d’Italia negli anni immediatamente successivi all’estate del 1979 ([…]).

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