Calabria ingiusta per Francesco e Pasquale

L’ inverno del 1991 copriva Lamezia di neve. Poco prima, l’estate dei mondiali di calcio in Italia e sullo sfondo le “notti magiche” di Bennato. Furono le ultime notti magiche anche per le figlie di Francesco Tramonte e per i fratelli di Pasquale Cristiano. La primavera dell’anno dopo avrebbe portato via per sempre i due netturbini di 40 e 28 anni. Due vittime innocenti uccise dalla mafia sul posto di lavoro. Il motivo? La vendetta dei clan della città, un chiaro segnale di ribellione verso il comune lametino che aveva fatto vincere la gara di appalti sulla nettezza urbana alla neo ditta “Se.Pi” facente capo, dietro prestanomi, proprio a uno dei tre clan.
Nel maggio del ‘91 Stefania Tramonte aveva fatto la prima comunione, Maria la sorella maggiore la cresima, mentre la più piccola delle tre aveva solo tre anni. Anche la sera del 23 maggio la famiglia Tramonte aveva trascorso un momento di entusiasmo alla  festa di una zia e Francesco non si era coricato affatto. Alle 3 del mattino era già radunato a Palazzo Sacchi, in piazza San Giovanni (ex albergo centrale di Lamezia) insieme ai colleghi. Quella mattina, Tramonte insieme a Cristiano venivano mandati dal capo squadra alla Miraglia a sostituire due uomini della Se.Pi, ch’erano assenti, ma insieme a loro c’era l’addetto alla guida dell’autocompattatore: Eugenio Banaddio, che faceva parte della Sepi, che durante l’agguato era riuscito a scappare e che il giorno seguente era già pronto a puntare il dito verso Agostino Isabella, un uomo barbuto, che abitava sulle colline di Sambiase, di cattivo aspetto, e con un dente canino argento che servirà a riconoscerlo dal Bonaddio nelle numerose udienze.
A contrada Miraglia, a Sambiase, dove puntualmente ogni anno da ben 28 anni si commemorano i due onesti lavoratori, l’alba del 24 maggio registrava il più atroce duplice omicidio della storia, un attentato terroristico-mafioso: il killer intimò ai netturbini di scendere dal furgone con un sorriso facendo credere che si trattasse di uno scherzo. Non ebbero neanche il tempo di rendersene conto, furono colpiti da innumerevoli colpi di kalashnikov. Morirono col sorriso in bocca. Quando arrivarono le forze dell’ordine il furgone dei rifiuti era ancora aperto e il sangue sgorgava lungo le viuzze del centro storico, dove ancora oggi come descrivono i versi di Franco Costabile il cielo azzurro si confonde con le mosche, dove nessuno sa niente, nessuno ha visto e sentito niente.
Stefania Tramonte nel mese successivo avrebbe fatto gli esami di 5 elementare con la mano poggiata sul petto della professoressa. Un dolore atroce che, da allora, non si è più arrestato. Pasquale Cristiano non aveva ancora compiuto 30 anni, era dentro gli scout, e ancora oggi il suo ricordo anima il quartiere di Santa Lucia, sotto il castello Normanno di Nicastro. Poco dopo la sua morte, il parroco Don Vittorio Dattilo invece di dispensare santini di Santa Lucia ai fedeli fece preparare dei ricordini dedicati ai due netturbini. Un rinnovato senso di fede per la comunità, oltre comuni stereotipi, una memoria che non può essere cancellata facilmente.
Francesco Cristiano implora giustizia e chiede che il caso venga riaperto subito
Oggi Francesco Cristiano è arrabbiato come allora e urla giustizia. Ha il viso tirato, il tono di voce alto, a tratti si commuove. “Il caso è stato manovrato per farlo chiudere. Noi invece faremo di tutto per farlo riaprire. Fra gli anni ’80 e ‘90 nel comune di Lamezia Terme c’era solo mafia – sono le parole di Francesco Cristiano, uno dei fratelli di Pasquale Cristiano –, i politici andavano a braccetto con i boss e gli uomini di mafia erano seduti in consiglio comunale. Poco prima del ’91, prima della ditta “Se.Pi” che non aveva mezzi, strumentazione, niente che potesse servire, una ditta fittizia creata ad hoc per volere di una delle cosche, era stato creato un consorzio. Si chiamava “Cise”, ed era il risultato delle cosche con il quale si copriva la nettezza urbana di Nicastro, Sambiase, S. Eufemia”. La guerra fra cosche era dentro il comune di Lamezia Terme a tutti gli effetti. “Avrebbero potuto dare un segnale diverso. Non avrebbero dovuto ammazzare due innocenti. Tutti sapevano come erano andate le cose, ma a tutti in quegli anni fino ad oggi ha fatto comodo restare in silenzio per tentare di coprire alcuni apparati di potere politico dai gradini alti” – racconta Stefania Tramonte. Stefania ricorda suo papà come un uomo semplice, pieno di vita, scherzoso e amorevole con le sue bimbe. “Aspettavamo il suo ritorno a casa con grande entusiasmo e ogni sera facevamo a gara a chi si addormentava tra le sue braccia” – dice Stefania – poi amava la musica, ascoltava molto Lucio Dalla, Gianni Morandi, e Fiorella Mannoia”.
Dal punto di vista giudiziario le indagini furono arenate quando Eugenio Bonaddio, a distanza di pochi mesi, mentre Agostino Isabella era in carcere, nelle nuove udienze ritrattò tutto. “Disse che non riconosceva più l’imputato – racconta Francesco Cristiano – non ricordava”. Da lì a breve Isabella verrà assolto e subito dopo morirà a causa di una malattia al fegato (Probabile che fu scelto dalla cosca proprio perché non sarebbe campato a lungo). “Seguirono anni di silenzio giudiziario, poi nel 2010 venne ascoltato il pentito Giovanni Governa ma anche in questo caso non si arrivò a nulla poiché le dichiarazioni dello stesso Governa per i giudici non erano attendibili” – dice ancora Cristiano.
Nel settembre 1991 con decreto del presidente della Repubblica viene sciolto il consiglio comunale di Lamezia Terme, uno dei primi comuni sciolti a seguito del decreto-legge 31 maggio 1991, n. 164, convertito in legge 22 luglio 1991, n. 221, perché come si evince dalla relazione del ministro dell’Interno Scotti, “presenta fenomeni di infiltrazioni e di condizionamento di tipo mafioso rilevati dalla relazione del prefetto di Catanzaro del 20 settembre 1992, dell’Alto commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, degli organi locali di polizia e dai provvedimenti dell’autorità giudiziaria”. Dalla relazione del Ministro Scotti in Gazzetta Ufficiale emerge ancora che: “del  consiglio  comunale  attualmente  in carica fanno parte sette consiglieri in ordine ai quali sono  emersi  collegamenti  diretti  o indiretti   con   esponenti  della  criminalità  organizzata“.
Subito dopo lo scioglimento comunale le indagini si rivelarono un buco nell’acqua, in particolare non si indagò negli appalti. Dalla relazione sullo stato della lotta alla criminalità in provincia di Catanzaro al 30 maggio 1991 venne fuori che nei 5 anni dal 1987 al 1991 si contarono in totale 55 omicidi, 61 tentati omicidi, 148 intimidazioni, 17 estorsioni. Scoperti 19 omicidi, 34 tentati omicidi, 12 intimidazioni, 3 estorsioni.
Negli ultimi due decenni i familiari di Tramonte e Cristiano hanno dovuto combattere senza sosta contro l’ingiustizia irrisolta del duplice omicidio che li riguarda. “L’ultimo spiraglio di luce era il ricorso in Appello ma il pm presentò il ricorso con qualche giorno di ritardo e fu annullato – racconta Francesco – siamo certi che qualcuno in tutto questo tempo ha remato contro di noi, in ogni settore, anche in quello giudiziario. L’unico uomo che stava indagando sin da subito sul caso era l’ispettore Salvatore Aversa, che nel gennaio del ’91 venne assassinato assieme a sua moglie Lucia Precenzano. Poco prima di morire disse a mio padre che c’eravamo quasi alla verità. Ebbene, dove sono andate a finire le carte di Aversa”? A meno di un anno i familiari delle due vittime innocenti hanno contattato il Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri. Hanno portato carte, articoli di giornale, documenti, hanno portato la loro rabbia e disperazione. “Ci ha detto che se portiamo nuovi elementi il caso potrà essere riaperto – dice Francesco – per questo faccio un appello a tutti coloro che sanno qualcosa, ai pentiti, ai politici, a chi ha vissuto quegli anni e ancora vive oggi e resta in silenzio. Siamo stanchi delle parate e delle commemorazioni”. Anche Stefania n’è convinta “Voglio sapere chi sono i colpevoli per evitare di stringergli ancora la mano”. L’onda di dolore è rimasta ferma al 24 maggio del ’91 e perdura oggi nel cuore di chi resta.

Fonte mafie blog autore repubblica