Vincenzo morto nel silenzio di Palermo

Vincenzo Spinelli era un onesto imprenditore di Palermo che venne ucciso da Cosa Nostra il 30 agosto 1982. Il suo coraggioso e ripetuto “no” alla mafia e la sua denuncia gli furono, purtroppo, fatali. A raccontare questa storia interviene Valeria, la sua primogenita.
Valeria ha la voce ferma quando inizia a parlare di suo padre Vincenzo, un imprenditore di Palermo che la mafia siciliana uccide il 30 agosto 1982. Quella che è stata ribattezzata “Seconda Guerra di mafia” – le decine di omicidi che insanguinano il capoluogo siciliano – non s’arresta.
Anzi, qualche giorno dopo, i primi di settembre, in Via Isidoro Carini viene ammazzato il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, l’eroe che aveva sconfitto il terrorismo, insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta, Domenico Russo. La Nazionale italiana di calcio, intanto, poco più di un mese prima, ha appena vinto il mondiale che si era disputato in Spagna. Ci sono i festeggiamenti, le parate. Ma la Sicilia e soprattutto Palermo sembrano cose a sé.
La mafia ammazza come se uccidere fosse una cosa normale e quotidiana. E quel nome, Vincenzo Spinelli, rischia di perdersi nel caos dei necrologi. Rischia di perdersi nella memoria. Al punto che se non ci fosse stata la resilienza della sua famiglia, la volontà delle figlie di Vincenzo di testimoniare la sua storia, oggi qualcuno potrebbe chiedersi se fosse veramente una vittima. Lo è davvero. Valeria ha la voce che già appare consumata quando pronuncia queste parole: «Mio padre è una vittima innocente di mafia».
Ma per poter affermare questo, Valeria ha dovuto aspettare. Non giorni, non mesi ma anni, tanti. «Mio padre è stato ucciso il 30 agosto 1982, il suo fu un omicidio che rischiò di passare inosservato poiché c’era in corso la guerra di mafia e di morti ce ne erano parecchi; rischiò di passare inosservato, tanti erano i morti che c’erano, persino per la stessa mafia che voleva lanciare un avvertimento verso quei commercianti che non volevano pagare il pizzo. Fu una sorta di Libero Grassi ante litteram ma in un contesto completamente diverso: non c’era ancora il fenomeno del pentitismo, non c’era ancora stato il Maxi processo e per le Istituzioni la mafia ancora non esisteva». «Papà era continuamente vessato da richieste estorsive, minacce… gomme delle ruote della macchina tagliate, vetrine del negozio sfondate, lettere anonime e rapine a scopo intimidatorio. Poi, alla fine degli anni Settanta, dopo una rapina, riconobbe e fece arrestare il criminale. Da quel momento la sua vita fu segnata».
Inizialmente le indagini sull’omicidio non portano a nulla. Si presumeva che fosse vittima della mafia, ma non v’era certezza neppure di chi fossero gli assassini. Ignoti. La svolta con le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Onorato, insieme a quelle di Francesco Di Carlo. Onorato non è un mafioso qualsiasi, è un  killer spietato che ha alle spalle decine e decine di morti. E si autoaccusa dell’assassinio di Vincenzo Spinelli: «Proprio quando inizia la stagione del “pentitismo”, a metà degli anni Novanta, mia sorella Tiziana si rivolge ai magistrati, in particolare ai dottori Ignazio De Francisci e Guido Lo Forte, per chiedere che si facciano domande sull’omicidio di mio padre. Onorato si autoaccusò dell’omicidio perché fece parte del commando mafioso che lo uccide. Uno dei rapinatori riconosciuti da mio padre, Girolamo Frusteri, era nipote di Tommaso Spadaro, il boss della Kalsa e “figlioccio” del boss Giuseppe Savoca, che, secondo Onorato, era il mandante dell’omicidio». La voce di Valeria si fa più calda, le parole corrono veloci, non sono trattenute né ponderate. È la rabbia che ancora si prova.
Secondo le dichiarazioni di Francesco Onorato a far parte del commando c’erano mafiosi di peso, come Salvatore Lo Piccolo, e poi tali Michele Micalizzi e Nino Porcelli, tutti condannati all’ergastolo in primo grado ma successivamente assolti perché le dichiarazioni di Onorato non hanno avuto “sufficienti riscontri”, così hanno stabilito i giudici.
Oggi l’unico responsabile dell’omicidio di Vincenzo Spinelli risulta proprio Onorato, condannato a sedici anni di carcere. Facile immaginare lo sgomento e la mancanza di fiducia verso la giustizia, che possono essersi fatte largo nel cuore di Valeria e di sua sorella.
Dopo trentasei anni, nel 2018, per la prima volta una commemorazione pubblica e istituzionale, con l’intitolazione a Vincenzo Spinelli della strada dove aveva i suoi negozi, ha inteso ricordare questa vittima innocente di mafia, purtroppo a lungo sconosciuta. Che prima di essere vittima, fu uomo, marito, padre. La voce di Valeria si interrompe per brevi secondi; ricorda che quando suo papà fu ucciso, aveva solo diciassette anni. Era una ragazzina. Inimmaginabile, se non lo si è provato sulla propria pelle, cosa voglia dire perdere il proprio genitore, in quel modo. «Ho sofferto molto…quella guerra di mafia…  per due anni non volevo uscire di casa… mi vergognavo… pensavo alle persone che avrei potuto incontrare, che mi conoscevano e che avrebbero potuto pensare che mio padre fosse stato un mafioso, un delinquente, un poco di buono. Quando sono cresciuta, evitavo di dire addirittura perché era morto. Dicevo che era morto d’infarto».
Silenzio. «Papà era una persona speciale, un uomo dolce, un gran lavoratore, una persona generosa… Un bravissimo papà». La voce di Valeria è più roca, consumata dalle lacrime; a distanza di anni non c’è solo il dolore per un lutto insuperabile, ma anche la sofferenza per tutto ciò che esso ha comportato. Quel turbinio di emozioni l’ha accompagnata tutta la vita, l’hanno resa fragile.
Oggi anche i negozi di Vincenzo Spinelli non ci sono più ma Valeria racconta un particolare: la loro insegna portava il nome “Valtiz”, le iniziali sue e della sorella Tiziana. Il lascito più grande di Vincenzo, loro due, le sue figlie.

Fonte mafie blog autore repubblica