Le “dimenticanze” di quei carabinieri

Il  destino  di  questo  reperto  è singolare:  nessuno  se  ne  occupa  e nessuna analisi e nessun specifico accertamento viene su di esso effettuato. Nessuno deve avere preso in considerazione l’opportunità  di verificare se quella sostanza gelatinosa potesse fornire tracce interessanti per l’individuazione di esplosivi e per l’eventuale accertamento della loro provenienza.
Nella perizia balistica disposta dal Pubblico Ministero non vi è  alcun richiamo al reperto di tela di sacco rinvenuto e consegnato ai carabinieri il 13 maggio.
Come perso nel nulla, esso non è preso  in  debita  considerazione da alcuno. Nemmeno dopo che,  nel  corso  della  formale istruzione, Faro Di Maggio con una lunga testimonianza, riferisce nuovi  particolari sia in ordine al sopralluogo effettuato nel casolare, sia in ordine alle fotografie scattate alle macchie di sangue ivi rilevate, sia, infine, alla consegna ai carabinieri di « un telo di sacco imbevuto di sostanza solidificata argentata ».
Eppure la testimonianza Di Maggio evidenzia le sostanziali diversità  nelle descrizioni di questo reperto. Di Maggio descrive al giudice istruttore un telo di sacco « imbevuto di sostanza solidificata argentata ». I carabinieri nel verbale del 13 maggio descrivono il reperto come « un pezzo di stoffa di colore nocciola sporco che presenta attaccature di materiale solido colore piombo ». Poi nella nota al PM Signorino parlano genericamente di « alcuni reperti presentati da Di Maggio Faro ed altri », riservandosi di trasmettere in cancelleria « n. 2 pezzi di stoffa ».
Una modalità  di verbalizzazione che ha una rilevanza superiore al dato meramente descrittivo, tenuto anche conto del fatto che l’informativa  4304/22-3  viene  redatta  il  23  maggio,  cioè dopo  dieci  giorni dalla ricezione del « telo di sacco » e perviene in Procura solo il successivo 27 maggio, per essere inutilmente allegata agli atti.
Sulla tela di sacco imbevuta di sostanza solidificata argentata non sarà  mai  effettuato  alcun  accertamento.
E ciò anche se con la «richiesta di indagini» datata 11 maggio 1978 indirizzata al Sig. comandante del Reparto operativo dei carabinieri di Palermo (leggasi il maggiore Antonio Subranni), il Pubblico Ministero procedente aveva espressamente richiesto l’accertamento della provenienza del materiale esplodente.
Questa richiesta resterà infatti inevasa (e mai più rinnovata).
E  la  stessa  sorte  toccherà  ad  alcuni  pezzi  di  pietra  con  tracce apparentemente ematiche raccolti dagli amici di Impastato e consegnati ai Carabinieri, sui quali non risulta mai effettuata alcuna indagine tecnica.

Gli accertamenti di interesse balistico.
Come risulta dal fascicolo processuale, l’incarico di « perizia tecnica di ufficio » conferito dal PM Signorino al perito balistico Pietro Pellegrino risale al 19 maggio.
Il Pm propone tre quesiti: 1) Tipo di esplosivo usato nella morte  di Impastato Giuseppe; 2) La ricostruzione della dinamica della morte; 3) Quant’altro risulta utile alle indagini. Il perito accetta l’incarico e chiede  40  giorni  per  rispondere  per  iscritto  ai  quesiti  (ma  depositerà la propria consulenza il 28 ottobre 1978).
Nel verbale di incarico nulla si legge circa i reperti oggetto di perizia. Essi non vengono neppure indicati, nemmeno per relationem. In sostanza, da quell’atto non è dato comprendere su cosa lavorerà  il perito. Solo all’atto del deposito della Relazione (28 ottobre 1978) si saprà  che il sig. Pietro Pellegrino « allo scopo di acquisire elementi utili per l’indagine », aveva consultato i carabinieri della caserma Carini, sede del comando provinciale, il perito prof. Paolo Procaccianti, incaricato di svolgere esami chimici sui reperti, ed aveva esaminato le fotografie scattate dai Carabinieri subito dopo il fatto.
Quanto alle « fotografie scattate dai carabinieri subito dopo il fatto »  nulla  di  più  è dato  conoscere,  perché  non  furono  allegate  dal perito alla propria dissertazione, né  se ne hanno altre tracce, eccezion fatta  per  quelle  già  indicate.
Ci si deve pertanto attenere ai brevi riferimenti effettuati dal Pellegrino, che pertanto vanno integralmente riportati: « Dalla documentazione fotografica si evince inoltre che un tratto di binario ferroviario  è stato  divelto  dall’esplosione  ed  asportato  di  netto,  tra  le due   traverse   di   legno.   Dalla   modalità   di   come   il   binario   è  stato tranciato e dalle tracce che si possono osservare sulla fiancata di una delle traverse di legno, si può  dedurre che doveva trattarsi di esplosivo ad  alto  potere  dirompente  e  ad  elevata  velocità di  detonazione ».

Una perizia sugli atti!
Una  perizia  sugli  atti  dunque,  atteso  che  in  essa  non  vi  è alcuna menzione di rilievi o analisi su reperti di interesse per gli accertamenti di natura chimico-balistica, quali ad esempio, gli spezzoni di rotaia, l’area interessata all’esplosione, oltre al citato « pezzo di stoffa color nocciola recante tracce di sostanza color piombo ».
Né il sig. Pietro Pellegrino – che, come si legge dalla carta intestata allo Studio Pellegrino, si dichiara oltre che « consulente tecnico del tribunale  di  Palermo,  Membro  della  Confèdèration  internationale  des associations d’experts, aggregata all’ONU » – riferisce di diretti sopralluoghi o ispezioni di reperti.
In sostanza la perizia Pellegrino si riporta agli esiti del lavoro del perito chimico, e, in particolare, alle analisi effettuate « su un frammento di stoffa repertata sul luogo » ove erano state rinvenute tracce di binitrotoluene (o DNT – dinitrotoluene) e trae delle ulteriori deduzioni dall’osservazione di reperti fotografici che non risultano agli atti!
Le conclusioni della « perizia » Pellegrino saranno di seguito esaminate.
Allo  stato  è necessario  evidenziare  che  nella  relazione  di  perizia Caruso–Procaccianti (depositata anch’essa il 28 ottobre 1978) si legge che  la  ricerca  per  le  polveri  da  sparo  allo  scopo  di  evidenziarne « residui incombusti » fu effettuata sul frammento della mano destra di Impastato attraverso il metodo del guanto di paraffina e « su un frammento della camicia di lana (a piccoli scacchi verdi e marrone chiaro, su fondo beige) sottoposto ad esame con una miscela di acetone: metanolo 1/1 e con successiva analisi cromatografica su strato sottile e gas-cromatografica. Tale accertamento aveva consentito di rilevare tracce di dinitrotoluene (DNT). Con la stessa metodica i periti Caruso e Procaccianti avevano poi proceduto sullo straccio di tessuto « fantasia » per abito da donna con tracce di materia nerastra, rinvenuto e repertato durante il sopralluogo giudiziario del 13 maggio 1978. Detta ricerca aveva dato esito negativo.

 

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