Messina Denaro doveva uccidere Falcone a Roma. Il boss prendeva ordini solo da Riina?

MAFIA, IL PENTITO E AMICO D’INFANZIA DEL BOSS, GERACI  , RACCONTA LA MISSIONE ROMANA: “DOVEVAMO UCCIDERE FALCONE ”

 

Messina Denaro custode di segreti che farebbero tremare pezzi dello Stato. Chi diede il contro ordine a Totò Riina sulla scelta di uccidere Falcone a Roma?. Nella capitale Falcone era un bersaglio più facile da eliminare. Secondo quanto affermato dal cognato ,il procuratore Morvillo, Giovanni Falcone a Roma usciva anche senza scorta.

Andava a cena la sera come un uomo qualunque.

Morvillo, nella trasmissione ATLANTIDE,  racconta anche di serate romane in compagnia della sorella e del cognato senza scorta. Gli potevano sparare quando volevano. Eppure,  Riina, da l’ordine  a Messina Denaro e ai suoi bravi di rientrare e non commettere l’omicidio. Il vero mistero di questa ennesima sporca vicenda italiana è tutto li.

Se la mafia voleva vendicarsi di Falcone a Roma lo avrebbe potuto fare nel modo più classico. Fucili e pistole e senza bombe. Ammazzare Falcone così non basta. Si deve replicare al tritolo non esploso dell’Addaura.

Il tritolo dell’Addaura e di Capaci hanno la stessa matrice. Il pezzo mancante di tutta questa vicenda sta nel sapere   chi ha deciso di usare il tritolo e per quale ragione.

E Messina Denaro, che minchia non è, potrebbe essere l’unico  boss in giro rimasto a sapere l’autore dell’ordine a Riina   che impose al vecchio boss,  di fare saltare in aria Falcone e Borsellino e non  usare fucili. Una strage terroristica con l’aiuto dei mafiosi, senza usare la vecchia lupara.  Perchè Riina non si oppose? Perchè si allineò  al cambio di strategia e disse al boss castelvetranese di rientrare?

Messina Denaro potrebbe conoscere quelle “menti raffinatissime” ancora in circolazione e che hanno usato, magistrati e poliziotti ,per depistare e sbattere in galera innocenti. E questi segreti, visto che , secondo diverse dichiarazioni dei pentiti, le riunioni per organizzare gli omicidi di Falcone e Borsellino si svolsero anche a Castelvetrano, potrebbero conoscerli anche castelvetranesi potenti e “insospettabili” del tempo. Senza escludere elementi della zona trapanese.

  Riina non parlò mai di vicende stragiste. Ci sono i figli da difendere. I suoi documenti, stranamente  non presi nella sua casa di Palermo subito dopo l’arresto, un pentito  in un’ udienza disse:” che finirono nelle mani di Matteo Messina Denaro”. Una vicenda ancora  tutta da chiarire. Se è vero ciò che sostiene il pentito La Barbera, Messina Denaro da latitante , nel 1993 , diventa custode di tanti segreti.  I segreti di Totò Riina. Un ‘operazione che definire “spavalda è riduttivo. Perchè questo lascito a Messina Denaro? E’ possibile che, il boss castelvetranese ,fece solo da tramite per evitare che i documenti finissero nelle mani sbagliate? E se è cosi, a chi portò quei documenti? Si potrebbe anche ipotizzare che   Riina , uomo ignorante ,ma particolarmente  astuto, aveva capito il gioco sui suoi  documenti . Quei documenti  verosimilmente erano potenziali armi di ricatto per qualcuno e lo rendevano forte. Possibile anche che, Riina senza quei documenti, decise di non parlare. Senza prove chi gli avrebbe creduto. E se Messina Denaro venne incaricato proprio da chi voleva far sparire quei documenti pericolosi per evitare che potessero finire in mani sbagliate?   Totò u curtu era un tipo tosto.  Abituato a pane e acqua. Si fece il carcere duro e li morì senza dire nulla di documenti o trattative. Messina Denaro non è della stessa tempra. Lui,  non è pecoraro. Se beccato, il carcere duro non lo sopporterebbe  . Di certo parlerebbe. Senza champagne , ostriche e belle donne come farebbe? Lu picciotto non c’è abituato. E chi lo ha protetto fin ora ,  lo sa e non vuole correre questi rischi. Troppe cose sa e lo dicono le sentenze

La testimonianza dell’amico Geraci

Francesco Geraci è stato protagonista per anni del gruppo di fuoco ai comandi di Matteo Messina Denaro.Era un gregario ma ha visto e sentito con i suoi occhi diverse scene della mafia assassina e stragista. DEl mancato omicidio di Falcone a Roma ne ha parlato molte volte. Ci sono udienze che lo dimostrano. Nel corso della recente  deposizione come teste  al processo d’appello sulla Strage di Capaci, il collaboratore di giustizia Francesco Geraci, ha raccontato  ancora una volta i particolari della cosiddetta “Missione Romana”, durante la quale (nei primi mesi del 1992) si sarebbe dovuto uccidere, su ordine di Riina, Giovanni Falcone (allora direttore degli Affari penali del Ministero della giustizia) ma anche alcuni noti giornalisti della tv italiana: “Cercavamo Maurizio Costanzo, Michele Santoro, Pippo Baudo e Giovanni Falcone perché dovevamo ucciderli”.

Geraci racconta: “Quando partimmo per Roma, io sono andato con Enzo Sinacori in aereo, Matteo Messina Denaro è partito con Renzo Tinnirello, e Giuseppe Graviano è partito con Fifo De Cristoforo. La macchina l’abbiamo affittata a nome mio perché ero io che avevo la carta di credito. Per quella trasferta Messina Denaro diede 5 milioni di lire ciascunoA Roma siamo stati circa 9 giorni.Ci dissero che dovevamo uccidere i giornalisti per allontanare l’attenzione dalla Sicilia e creare dei casini al Centro Italia. Portare l’attenzione sui vecchi brigatisti. Ne parlava Matteo Messina Denaro”.

Geraci ha ricostruito nel corso dell’udienza alcuni particolari del progetto di morte. “Si parlava di mettere il tritolo in un bidone dell’immondizia o una macchina vicino al teatro dove si faceva il Maurizio Costanzo Show. Io e Sinacori siamo andati anche a fare un sopralluogo. Di armi – ha aggiunto – a Roma non ne ho viste. Le avevo viste invece a Mazara Del Vallo quando le stavano preparando. C’erano dei kalashnikov che Matteo Messina Denaro e Enzo Sinacori provarono. C’erano delle pistole. Moltissime armi comunque”