Un ministro della giustizia nella tempesta

La polemica continua a montare. Il Ministero di Giustizia invia gli ispettori per controllare l’operato del carcere. Intanto viene scaricato sui magistrati di sorveglianza (in nota:  Il magistrato di sorveglianza – fino al 1986 denominato giudice di sorveglianza – nell’ordinamento giudiziario italiano, è un organo monocratico con competenze relative all’esecuzione della pena. Esplica attività di vigilanza sulle carceri italiane e controlla che l’attuazione del trattamento del condannato e dell’internato risulti conforme ai principi sanciti dalla costituzione e dall’ordinamento penitenziario, attraverso visite e l’audizione dei detenuti) la responsabilità delle scarcerazioni, poiché organo indipendente che decide. A sua volta i magistrati di sorveglianza, che devono avere massima attenzione alla salute dei detenuti, non possono che chiedere un esame approfondito ai medici delle ASL che dipendono dalle regioni, dalle provincie. Un corto circuito burocratico, legale, amministrativo, politico che permette di mandare un messaggio forte della mafia: neanche il 41bis ci può fermare.

Nel frattempo si teme la scarcerazione del più importante boss di camorra ancora vivo, anche se detenuto al 41bis dal 1993: Raffaele Cutolo. Nome storico delle mafie italiane, da sempre in carcere, anziano e malato, non ha mai chiesto nessun permesso, non si è mai pentito e non ha mai collaborato con lo Stato. Uomo che ha attraversato anche il rapimento del Primo Ministro Aldo Moro e tanti segreti italiani. La sua scarcerazione avrebbe un effetto devastante per tutta la società italiana.

“Il Covid-19 ha solo accelerato le problematiche già presenti nel Paese, il carcere non è che lo specchio del Paese stesso”. Un magistrato di sorveglianza, che ha competenze anche su uno delle carceri della Campania dove c’è stata una delle più dure rivolte pone la questione del proprio ruolo e della legge in termini chiari: “Oggi si vuole accusare noi di liberare i mafiosi, ma non è così. Ci si dimentica che noi applichiamo la legge italiana, siamo indipendenti e comunque le valutazioni sanitarie sono svolte da un comitato che prende decisioni con estrema attenzione. Con il DAP abbiamo segnalazioni reciproche, ma se il carcere non è dotato di adeguate strutture sanitarie questo non è imputabile ad un magistrato. Siamo circa 200 magistrati che devono seguire circa 55mila detenuti. La nostra figura non è conosciuta, non è attenzionata se non quando accadono scarcerazioni che fanno rumore sui giornali. Noi siamo quelli che lavorano dopo che la pena è stata inflitta. La materia è complessa, ma abbiamo visto come l’Italia stessa se la sia cavata abbastanza bene a fronte di gravi ed evidenti carenze del Servizio Sanitario Nazionale. La buona volontà ci ha salvato. Così come il Servizio Sanitario Nazionale ha subito forti tagli, altrettanto il mondo carcerario non ha adeguate strutture sanitarie, soprattutto nelle carceri del Sud. Torna a ripetere il carcere è lo specchio del Paese. La pandemia ci ha fatto scoprire le nostre fragilità come Paese, ma molte fragilità erano bene conosciute, con la pandemia sono esplose, come quando esplode una cellula invasa dal virus”.

Il 2 maggio, il capo del DAP, durante il cui mandato si sono verificati i disordini e le varie scarcerazioni, si dimette dal suo incarico. Il suo sostituto è Bernardo “Dino” Petralia, già Pubblico Ministero di Reggio Calabria e uomo descritto dal Ministro della Giustizia come un magistrato che “ha dedicato tutta la sua carriera alla giustizia e alla lotta contro la mafia”. Negli anni ’80 Petralia fu inoltre uno dei magistrati che scoprì una delle piu grandi raffinerie di droga della mafia. È Roberto Tartaglia, Pubblico Ministero chiave nelle investigazioni relative alla Trattativa Stato-Mafia. Le nuove nomine mandano un seganel forte e deciso contro le mafie e le scarcerazioni facili, ma senza abdicare al rispetto per i detenuti e le regole democratiche.

Alla data del 7 maggio 2020 si teme per la scarcerazione di altri 456, forse anche di più, detenuti con reati di mafia che hanno fatto istanza di arresti domiciliari. Il 9 maggio 2020 è stato varato un decreto delle del Consiglio dei Ministri (COVID-19, MISURE URGENTI SUI BENEFICI CONCESSI AI DETENUTI PER GRAVI REATI), ponendo da una parte una dura stretta sulla concessione dei benefici alternativi, ma allo stesso tempo dimostra la falla che si è venuta a creare nello scarcerare un così alto numero di mafiosi.

Mentre il Paese Italia ha avuto e ha difficoltà a gestire il Covid-19, così come le altre nazioni europee, le mafie hanno gestito perfettamente l’emergenza pandemia. In questa sua determinata capacità di azione ed organizzazione, si dimostra la loro pericolosità ma anche la capacità di gestione dell’imprevedibile e la capacità di cogliere le opportunità appena esse si presentano. Il 21 febbraio il primo caso di Covid19 italiano, il 7 marzo comincia la prima rivolta in carcere. Le mafie in due settimane hanno studiato a tavolino, organizzano ed eseguano una delle più gravi rivolte, mettendo a dura prova il Paese, lasciando una lunga scia di polemiche e preoccupazioni che si stanno sviluppando ancora nel momento della chiusura di questo report. Hanno ottenuto comunicazioni, incontri, scarcerazioni. Le mafie conoscono perfettamente le leggi, le strutture carcerarie e i regolamenti delle stesse strutture. Conoscono la burocrazia che regola la legge e il corpo di polizia penitenziaria, è sintonizzato in tempo reale sulle difficoltà di un Paese in piena emergenza. Ha dalla sua parte avvocati, anche dei diritti umani che giocano una partita tutta loro. Ad essi si sono aggiunti anche gruppi estremisti e un movimento d’opinione che vuole tanto l’amnistia, tanto l’indulto. Le mafie hanno gestito il covid19 tanto quanto possono solo farlo i ricercatori scienziati, ma lo hanno usato inoculandolo nelle paure degli italiani. Le mafie, come il virus hanno minacciato di uscire e invadere le strade, in altri casi si sono comportati in maniera asintomatica, ma sempre reclamando un’infezione della società. Ogni scarcerazione è una loro vittoria, ogni telefonata non controllata è una loro vittoria. Lo Stato demanda le responsabilità a più e diversi livelli, le mafie non avendo burocrazia hanno raddoppiato l’emergenza. Non si sono sentite intimorite, ma non perché hanno sottovalutato il pericolo, ma perché hanno la capacità anche di gestire l’ignoto e di piegarlo ai loro desideri.
La rivolta delle carceri italiane durante la pandemia del covid19 è una sorta di manuale di errori da evitare, e di opportunità che le mafie sanno cogliere, semplicemente perché i virus mortali sanno riconoscersi e rispettarsi.

Fonte mafie blog autore repubblica