Catanzaro, il caso del giudice Petrini e la sentenza sospetta, si può comprare l’assoluzione per un omicidio?

Ombre sull’assoluzione del boss, Petrini sostiene di aver pilotato un processo e inguaia l’avvocato Manna che nega tutto

Inquietanti le accuse del Giudice Petrini che svelano condizionamenti all’interno dei processiÈ uno dei punti cruciali dell’inchiesta di Salerno sulla presunta corruzione alla Corte d’Appello di Catanzaro.


COSENZA – Sono tempi difficili per l’avvocatura calabrese. Difficili e insidiosi. All’indagine a carico del decano Armando Veneto , infatti, si aggiungono ora le ombre che si addensano su un altro fra i penalisti più noti della regione, ovvero il cosentino Marcello Manna tirato in ballo per una vicenda analoga: la presunta corruzione di un giudice finalizzata a ottenere la benefici giudiziari per i suoi assistiti. Nel caso di Veneto, il giudice in questione sarebbe l’ormai defunto Giancarlo Giusti; per quanto riguarda Manna, invece, parliamo del reo confesso Marco Petrini.

Ed è proprio lui, infatti, a puntare l’indice contro il già presidente della Camera penale di Cosenza e attuale sindaco della città di Rende in un interrogatorio reso alla Dda di Salerno lo scorso febbraio e ora allegato agli atti del processo per corruzione in atti giudiziari nel quale Petrini riveste il ruolo di principale imputato.

Si tratta di uno dei verbali più controversi di tutta l’inchiesta “Genesis” nel quale l’ex presidente di sezione della Corte d’appello di Catanzaro accusa anche altri suoi colleghi di aver preso parte a questo e altri accordi corruttivi, salvo poi rimangiarsi tutto due mesi più tardi, ad aprile, circostanza che indurrà gli inquirenti a ritenere le sue confessioni inquinate al punto da richiedere nuovamente il suo arresto.

Petrini sostiene di aver aggiustato in cambio di denaro, c’è anche quella che riguarda il boss cosentino Francesco Patitucci, assolto a dicembre del 2019 dall’accusa di essere stato tra gli ispiratori di un omicidio di mafia commesso otto anni prima. Condannato a trent’anni in primo grado, sarà giudicato non colpevole e subito scarcerato proprio all’esito di quell’Appello sul quale ora gravano pesanti sospetti. Petrini riferisce di aver ricevuto del denaro per pilotare quella sentenza. Nel verbale, oltre al nome di Manna si fa anche quello del codifensore Luigi Gullo, ma i numerosi omissis presenti non consentono di chiarire da chi il giudice sostiene di aver ottenuto materialmente quei soldi. Un riferimento diretto a Manna, invece, arriva riguardo a un’altra vicenda: l’annullamento di una confisca di beni disposta a carico di un imprenditore difeso dal sindaco di Rende ma che sarebbe stata anch’essa oggetto di accordo corruttivo.

Fin qui l’interrogatorio di febbraio, ed è anche in virtù del tenore di queste sue confessioni che, dopo alcune settimane trascorse in cella, l’ormai ex giudice riottiene la libertà. Si arriva così al fatidico aprile quando in un altro interrogatorio – anch’esso allegato agli atti processuali – Petrini opera un dietrofront che, seppur parziale, finisce per avere effetti destabilizzanti su tutto il suo percorso collaborativo. Esclude, infatti, il coinvolgimento di suoi colleghi togati negli accordi corruttivi intrapresi sia per il processo Patitucci che relativamente ad altre sentenze, laddove invece due mesi prima sosteneva il contrario. Riguardo al boss, poi, ne motiva l’assoluzione con le dichiarazioni incoerenti di un collaboratore di giustizia. Nell’inchiesta di Salerno, Manna è già indagato per una vicenda minore, ovvero la presunta raccomandazione operata in favore di un regista lametino, nipote di Petrini, con il presidente della Film commission calabrese, ma non è chiaro se lo sia anche per questa vicenda. L’aspetto più oscuro, però, riguarda proprio il grande accusatore: qual è il vero Petrini, quello di febbraio o quello di aprile? Una domanda di non poco conto, considerato che dalla risposta dipendono il destino e la reputazione di molte persone.

Fonte: Quotidiano del Sud