Quarant’anni fa la strage di Ustica, una vergogna di Stato che continua

Danno collaterale di «una guerra non dichiarata?» Nonostante decenni di indagini i familiari delle 81 vittime non conoscono la verità. La Giustizia italiana non ha funzionato

Lo scenario internazionale in cui si colloca il caso del DC9 Itavia
di Eliana Di Caro

I ragazzi del corso di Restauro dell’Accademia di Belle Arti di Bologna al lavoro durante la manutenzione del relitto del Dc9 di Ustica, ospitato nel Museo per la Memoria del massacro di Bologna (Ansa)
I ragazzi del corso di Restauro dell’Accademia di Belle Arti di Bologna al lavoro durante la manutenzione del relitto del Dc9 di Ustica, ospitato nel Museo per la Memoria del massacro di Bologna (Ansa)
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La sera del 27 giugno 1980 ventuno aerei militari di diverse nazionalità fendevano i cieli italiani «in una guerra non dichiarata». L’espressione è del giudice Rosario Priore che ha indagato per anni sulla strage di Ustica, cioè sull’abbattimento del Dc9 decollato da Bologna e mai arrivato a Palermo, con 69 adulti e 12 bambini a bordo. Da uno di quegli aerei militari partì con ogni probabilità il missile che colpì il volo civile dell’Itavia, nella cui scia si celava – fuori dai radar – il bersaglio mancato. Potrebbe sembrare un film anche ben costruito, invece è tutto vero, benché di una verità ancora incompleta: non si sa chi sia il responsabile materiale né quale fosse l’obiettivo.

Anche per questo, per capire e farsi un’idea più compiuta, è utile leggere 1980: l’anno di Ustica , fortemente voluto dall’Associazione dei parenti delle vittime. Il libro ricostruisce, nella prima parte, il contesto internazionale in cui si collocano i fatti. Uno scenario dal quale non si può prescindere per comprendere il perché, lungi dal trattarsi di un «cedimento strutturale» del Dc9 (come a lungo si è tentato di far credere, con il conseguente fallimento della già fragile compagnia aerea), le tensioni che scuotevano l’area del Mediterraneo ebbero un ruolo chiave in questa vicenda. La Francia di Giscard d’Estaing e gli Stati Uniti del declinante Carter (di lì a poco sotto Reagan) da un lato, la Libia di Gheddafi dall’altro, con il Governo italiano stretto in una complicata mediazione: non tradire la fiducia degli alleati insofferenti nei confronti del Colonnello e del suo sostegno a tante azioni terroristiche e, al tempo stesso, continuare a tessere buone relazioni con Tripoli, fornitrice di petrolio e commesse. Il 1980 è anche l’anno dell’instabilità provocata dai nuovi assetti in Medio Oriente dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan e il potere preso da Khomeini in Iran, oltre che della morte di Tito.

I capitoli che compongono il volume spiegano come si declinavano le relazioni fra Paesi e aree di crisi. Il lungo saggio di Bruna Bagnato sui rapporti tra Roma e Parigi e sulla politica aggressiva dell’Eliseo verso Gheddafi è di particolare interesse, e rende meno sorprendente la sortita del presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga che nel 2008 in un’intervista ascrive proprio a un caccia francese il lancio del missile. Parole che faranno riaprire l’inchiesta, ancora in corso, dopo un calvario giudiziario segnato da insabbiamenti, reticenze, opacità oltre che – per i primi sei anni – dall’indifferenza della politica, come sottolinea Cora Ranci nella seconda sezione del volume dedicata alle trame italiane. Basti pensare che il relitto del Dc9 fu recuperato solo tra il 1987 e il 1988 (oggi se ne può osservare lo scheletro ricomposto, frammento per frammento, nel museo della Memoria di Ustica a Bologna). Le cose cambiano nel 1990 con l’arrivo di Priore, il quale coglie immediatamente anche il peso delle implicazioni internazionali, tanto da procedere con circa 300 rogatorie. Grazie alla meritoria e pressante campagna della stampa (a partire dalle inchieste di Andrea Purgatori), si mettono in relazione i resti del Mig libico ritrovato sulla Sila nel luglio dell’80 con Ustica, sconfessando la tesi secondo cui quel Mig e il cadavere del pilota potessero trovarsi sulle montagne calabresi solo dal 18 luglio.

Eppure la strage di Ustica rimane senza colpevoli: si conclude con l’assoluzione il processo a quattro generali dell’Aeronautica militare accusati di alto tradimento per «aver impedito, tramite la comunicazione di informazione errate, l’esercizio delle funzioni del governo». La distruzione di prove, la sparizione di documenti, il mancato apporto dei dieci radar dislocati nella zona del Tirreno rimangono però nella memoria pubblica. Come i tracciati del sito di Poggio Ballone (Grosseto), svelati da uno scoop della trasmissione Samarcanda: si vedono con chiarezza due aerei provenienti da Nord, altri due in arrivo da Sud. In mezzo il Dc9, lungo la propria legittima rotta, che nella «guerra non dichiarata» è al posto sbagliato nel momento sbagliato. Solo 39 corpi saranno identificati. Ecco perché è più corretto parlare di strage, sebbene con i dovuti distinguo rispetto ad attentati di matrice terroristica come piazza Fontana o piazza della Loggia. Non fu un canonico incidente aereo: la coltre di menzogne e Il muro di gomma (titolo del film di Marco Risi, un’espressione entrata nel nostro vocabolario) che hanno ostacolato la ricerca della verità rendono appropriata l’espressione.

Con l’anniversario dei 40 anni, il 27 giugno, sono in uscita diversi libri che analizzano la vicenda (si ricordano Ustica&Bologna. Attacco all’Italia di Paolo Cucchiarelli, edito dalla Nave di Teseo; Ustica. Una ricostruzione storica della stessa Cora Ranci, pubblicato da Laterza). Questo volume ha il pregio (pur con qualche refuso e sovrapposizione di troppo) di offrire al lettore le coordinate per capire che cosa accadeva attorno a Ustica, illuminando zone oscure e proprio per questo fondamentali nell’interpretazione dei fatti di quell’estate.

Fonte: Il Sole 24 Ore