Caso Montante, chi tramava adesso trema. L’intervista a Franca Decandia

Franca Decandia era nel consiglio direttivo della FAI (Federazione antiracket e antiusura italiana), e ne faceva parte anche come ANVU (Associazione nazionale vittime di usura). Non ha mai avuto rapporti diretti e personali con Montante. «Antonello Montante l’ho conosciuto solo per bocca di Tano Grasso – dichiara a L’Urlo – Quando ero nell’associazione FAI, Tano Grasso lo nominava spesso tra le persone che combattevano la mafia. E infatti Confindustria Sicilia è entrata a far parte dei PON Sicurezza per volere di Tano Grasso e del Prefetto Marino che gestivano i rapporti con Montante».

Franca decide di fare un passo indietro: «Ho capito che stavano arrivando ai PON Sicurezza e che stavano facendo di tutto per prenderli loro. Infatti, quando stava per partire il bando, sapevamo già che sarebbero state escluse tutte le altre associazioni tranne quelle decise da Tano Grasso, Alfredo Mantovano e Giosuè Marino». Scende perciò nei dettagli: «In particolare, ricordo l’Associazione antiracket Salento legata ad Alfredo Mantovano presieduta da Maria Antonietta Gualtieri, arrestata per avere gestito illecitamente i fondi del Ministero dell’Interno da destinare alle vittime del racket e dell’usura. Questa associazione non faceva nulla per l’antimafia».

E continua: «Poi è arrivato Ugo Forello e hanno deciso di presentare una norma per cui chi non era associato alla FAI, attraverso Mantovano e il Prefetto Marino, veniva escluso dal Ministero. Avrebbero dovuto fare una specie di timbro DOP, tipo le vacche: tu gli metti il marchio e, o sei marchiato FAI o non vali niente. Quindi tutte le associazioni sarebbero state azzerate. In più loro volevano prendere in mano tutti gli appalti pubblici e con i loro professionisti fare da tutor. Infatti, si vede uno di loro che costringeva a comprare calcestruzzo alle aziende ed era anche lui uno dell’antimafia della FAI arrestato due anni fa, mi pare», riferendosi con molta probabilità a Vincenzo Artale di Alcamo, arrestato nel 2016.

Doveva funzionare in modo molto semplice: «Arriva un appalto pubblico? Insieme alla Prefettura, la FAI doveva decidere se qualcuno aveva diritto di partecipare o meno. Lo chiamavano appunto “il timbro DOP della FAI” che doveva curare la gestione di tutto, appunto».
Franca Decandia si rende perciò conto che a loro delle vittime non importava più nulla. Secondo lei la FAI stava diventando un’azienda dove giravano milioni di euro e non le stava più bene perché ha sempre creduto nel valore dell’aiutare il prossimo quando si trova in difficoltà e chiede sostegno. Lei stessa è una vittima.

«Quando poi ho capito che non stavo più in un’associazione ma in una SPA, ho semplicemente sbattuto la porta e me ne sono andata dopo avere detto a Ugo Forello che quello non era più fare antiracket, non era più pensare alle vittime. Addirittura si disse che andavano sciolte tutte le associazioni create da vittime e stavano già proponendo la legge per affidare alla FAI la gestione di tutte le altre. E le vittime chi le aiuta? In quello scambio tra me e Forello intervenne Tano Grasso in favore di Forello e me ne andai disgustata».

La rabbia è ancora viva e Franca si lascia andare raccontandoci i brutti ricordi legati alla FAI e alcuni tra i casi più eclatanti che fanno crollare il mito delle associazioni antimafia gestite tutte da persone perbene. «Vogliamo parlare di Silvana Fucito? È stata coordinatrice regionale campana FAI, indagata per frode fiscale mentre il marito venne tratto in arresto dopo essere diventati “eroi dell’antiracket” ed essersi arricchiti con i fondi delle vittime».

«Tano Grasso ha cominciato quella nuova fase facendo l’esperto antimafia con Walter Veltroni, con Francesco Rutelli, con Rosa Russo Iervolino, poi con Crocetta. Si vedeva che lui era più portato per le passerelle. Quando lui venne nominato commissario noi eravamo pure contenti perché chi meglio di lui poteva darci certe garanzie! Fino a quel momento lui era una persona di cui fidarsi. Chiamava le vittime, le seguiva, modificava le leggi rendendole migliori per loro. Poi ha cominciato a dire che le vittime non servivano più, le vittime non dovevano esserci e al loro posto i professionisti come Colajanni che faceva le “fiere della legalità” e lui nemmeno era vittima. Piano piano le vittime venivano allontanate ed entravano professionisti».

Qual è il collegamento tra Montante e le associazioni antimafia? «Prima che Montante prendesse in mano le redini di Confindustria – afferma Franca Decandia – Tano Grasso non li vedeva di buon occhio perché bloccavano l’erogazione di finanziamenti. Con Montante le cose sono molto cambiate».

Don Ciotti sul caso Montante ha parlato di un “accanimento contro l’antimafia”: «Don Ciotti ha paura del governo Salvini – Di Maio perché non potrà farsi leggi ad hoc che gli permettano di prendere beni confiscati».
E su facebook Franca scrive che questo clima di terrore verso l’antimafia sta interessando chi riesce ad arraffare milioni di euro dai soldi pubblici, chi è finanziato dai partiti, banche e coop rosse, giudici pseudo combattenti antimafia, rilevando che stranamente, da parte di Don Ciotti, non un cenno ai magistrati come la Saguto e agli amministratori giudiziari che fanno parte della holding dell’associazionismo antimafia.

Già, Silvana Saguto. Prima che il magistrato del Tribunale delle Misure di Prevenzione di Palermo venisse travolta dagli eventi ben noti alla cronaca ma soprattutto alla magistratura, era il punto di riferimento di molti, anche del senatore Beppe Lumia.

L’imprenditore Massimo Romano, finito agli arresti con l’operazione ‘Double Face’ insieme ad Antonello Montante, nel corso di un’intercettazione ambientale del 2015 dichiarava: «(Beppe Lumia, n.d.r.) insistette affinché mi recassi in procura a denunciare (una falsa estorsione, n.d.r.) ma mi mostrai fermo nelle mie convinzioni e annunciai che mi sarei dimesso da Confidi e Confindustria. Presentai le dimissioni che non vennero accettate», ricevendo pressioni in questo senso anche da Antonello Montante.

 

 

fonte https://lurlo.news/caso-montante-intervista-a-franca-decandia/