Stragi del 92: Messina Denaro , l’amicizia con Bellini per il traffico d’arte e i rapporti con l’eversione nera

La verità  sulla mancata cattura di  Matteo Messina Denaro e sul suo ruolo nelle stragi ?  Troppa grazia Sant’Antonio. Meglio depistare o accusare chi non lo porta sulle sue tracce e lasciare in pace chi sa la verità.

Dietro l’operazione Palma del maggio del 1992 e  avvenuta prima della strage di Capaci,  ci fu un tentativo di depistaggio? Stranamente i Messina Denaro non vennero toccati

A Castelvetrano, nel 1991 si fecero le prime riunioni preparatorie per le stragi. Matteo Messina Denaro era appena trentenne. Non poteva essere solo . Non si affida un compito delicato a un giovane anche se protetto dal padre. E’ probabile  che qualcuno dell’alta borghesia castelvetranese sapeva di questi incontri. Qualche mente raffinata legata ai servizi deviati o ad altre forme di potere occulto.  Ormai è evidente che esiste un collegamento tra la strage di Bologna e la mafia. La chiave di questa relazione si chiama Paolo Bellini , terrorista di destra , condannato di recente all’ergastolo. A Castelvetrano ci potrebbe essere quel “qualcuno” attivo in quegli anni che potrebbe aiutare gli investigatori che cercano la verità e non le storie  buone per libri e romanzi? La narrazione logica dei fatti fa intendere che qualcuno può sapere e forse nessuno lo ha mai cercato per questi fatti

«Matteo Messina Denaro conosceva  Bellini  per il traffico internazionale sulle opere d’arte trafugate»

 

Il traffico di opere d’arte e archeologiche , fu lo spazio affaristico che mise in contatto Bellini  e i Messina Denaro . la zona di Selinunte era un giacimento che sfornava centinaia di reperti. I soldi si facevano attraverso il piazzamento internazionale. Nel 1981, nel carcere di Sciacca,  la Primula Nera,  Bellini, ancora con l’alias brasiliano di Roberto Da Silva, ottenne la  fiducia di un boss mafioso: Antonino Gioè, Un pezzo grosso mafioso.

Gioè  che di cose sulle stragi ne sapeva stranamente, venne poi trovato suicida in carcere a Rebibbia in circostanze misteriose nel 1993, lasciando una lettera in cui anche c’è un riferimento alla Primula Nera, considerandolo un infiltrato. Per la Corte di Caltanissetta, Matteo Messina Denaro era «pienamente a conoscenza – ma non poteva essere altrimenti sulla scorta del suo ruolo – di questi rapporti». E’ Gioe che li mette in linea. Il giovane Messina Denaro “spertu” ma ignorante comincia a prendere confidenza con strategie eversive e su affari di grosso valore . Capisce che lo Stato e la mafia in campo si fanno la guerra e in altro si accordano. Secondo  la Corte nissena , «fu proprio all’inizio del ’92 che si articolò un complesso – alla fine infruttuoso – negoziato fra Antonino Gioè, uomo d’onore della famiglia di Altofonte, e Paolo Bellini. A questo accordo partecipò, secondo la ricostruzione di Caltanissetta, anche la famiglia Messina Denaro. Bellini e Gioè, prendono ordini da Riina sulla fiducia da dare ai Messina Denaro. Lu siccu viene sdoganato ai piani alti dell’eversione. Bellini si è fidato solo del boss corleonese o ha avuto rassicurazioni anche da qualche “colletto bianco” locale? Il sospetto è forte.

Ricostruire la verità costa molto e forse no conviene a chi è  ancora potente. Meglio fare fumo

La  vicenda legata alla sua latitanza  è , purtroppo, l’ulteriore riscontro a quel pernicioso  “modus operandi” che lega la Giustizia italiana alle pagine più buie della storia repubblicana.  Dalla strage di Piazza Fontana, alle bombe di Brescia, ai morti della stazione di Bologna e di Ustica, la giustizia italiana ha dimostrato tutte le sue misteriose debolezze. Una giustizia che spesso ha punito innocenti per proteggere criminali di Stato e delinquenti di grosso calibro. La vicenda delle stragi di Palermo, Firenze e Milano, a distanza di decenni , rimangono monche di molte verità. Bugie, depistaggi, processi inutili che hanno visto alcune toghe essere complici di una giustizia che non ha mai veramente cercato la verità. Anzi, questo “potere” giudiziario, ha cercato appoggio attraverso una stampa poco libera e molto giustizialista  anche approvazione. Le toghe  non si devono toccare, anche se hanno chiuso gli occhi davanti a falsità e depistaggi. La storia  della giustizia italiana è piena di indagini e processi rivelatesi dei veri buchi nell’acqua. E’ ovvio che tutto questo non può essere stato frutto del caso. Inventarsi pentiti , dipingere colpevoli per salvare i veri colpevoli è un “arte” molto applicata in Italia . Una modalità che ci ricorda molto i paesi latino- americani  . Il sistema difende se stesso cercando pecore da sbranare per salvare i lupi famelici con l’aiuto di giornalisti egocentrici e pregni di narcisismo

   Report in un servizio dedicato alle stragi,  ha aggiunto una ulteriore dose di misteri al sospetto forte dei  depistaggi sulle stragi siciliane. Una puntata che ha messo sotto accusa pezzi dello Stato e  in varie occasioni. Viene fuori un quadro allarmante di una Democrazia non compiuta e piena di centri di potere occulti che hanno messo le mani ovunque, spesso facendosi la guerra anche tra loro a scapito di gente ignara. Il fine giustifica i mezzi. Una certa antimafia è servita per punire nemici, piuttosto che per contrastare i mafiosi veri

Il caso di complessi depistaggi sulle stragi, Falcone e Borsellino, è l’ulteriore esempio di come la giustizia in Italia è sempre stata controllata da un potere complicato e pericoloso allo stesso tempo. Un potere che si è servito di mafiosi, come di uomini delle istituzioni. Un potere  cattivo e più capace della stessa mafia che conosceva la violenza ma anche tanta ignoranza . 

Già negli anni 90 si potevano sapere molte più cose sulle stragi. Il pentito Francesco Geraci ne parla al Processo di Firenze. Eppure, quelle parole finirono nel dimenticatoio. Il pentito Ciccio Geraci di Castelvetrano chiamato in codice ex 210 al processo sulla strage dei Georgofili nel 1996 parla a tutto tondo

Parla della sua amicizia con Matteo Messina Denaro è il favore chiesto al boss che lo fa diventare organico alla cosca senza “punciuta”. Descrive il ruolo di MMD nel tentativo romano di uccidere Falcone. Parla dei rapporti con esponenti della Banda della Magliana. Il boss era talmente potente già allora che chi riceveva la sua “benedizione” non necessitava del rituale mafioso per diventare uomo d’onore. Anzi , gli amici di Matteo erano “superiori”. Geraci ha parlato in lungo e in largo di come si muoveva Matteo nel tessuto sociale di Castelvetrano e anche a Palermo. Dopo le decine di retate chi sono gli “iniziati ” da Matteo o da suo padre che sono ancora in giro a comandare per conto suo? Se dopo 30 anni di indagini e arresti il boss è libero qualche depistaggio c’è stato. Molti soldati in galera ma i generali dove sono?

Fonte: Gazzetta, documenti