“Messina Denaro”, integrali su latitanza e cattura

Ancora dal verbale di uno dei primi interrogatori di Matteo Messina Denaro dopo l’arresto, emergono altre dichiarazioni, adesso integralmente. La latitanza e la cattura.

Ancora dal verbale di uno dei primi interrogatori di Matteo Messina Denaro dopo l’arresto, depositato nell’ambito della conclusione delle indagini a carico del suo presunto medico personale, Alfonso Tumbarello, emergono altre dichiarazioni, adesso integralmente. In riferimento alla sua cattura dopo 30 anni di latitanza, il boss così si rivolge al procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, e all’aggiunto, Paolo Guido: “Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante: voi mi avete preso per la mia malattia. Mi sono fatto ‘albero nella foresta’, mimetizzandomi come persona tra le persone, a Campobello di Mazara. Era giusto che io andassi in carcere, se mi prendevate. E ci siamo arrivati. Ma una domanda così, che lascia il tempo che trova: ma cosa è cambiato secondo lei? C’è una corruzione fuori, c’è una corruzione fuori indecente… si sono concentrati sempre tutti su di me e quello che c’è fuori forse voi pensate di immaginarlo tutto ma non lo sapete tutto”. Domanda dei magistrati: “Ma sei lei non ci aiuta… lei ci dica…”. Risposta di Messina Denaro: “Eh, eh, eh, lo sapevo… Però io non so se è chiara sta cosa: allora, se voi dovete arrestare tutte le persone, eh, eh – scusi se rido, ma è diventata poi una barzelletta – che hanno avuto a che fare con me a Campobello, penso che dovete arrestare da due a tremila persone, di questo si tratta. Però c’è una differenza: a Palermo io sono “Andrea”, perché a Palermo ho conosciuto decine e decine di persone, sono “Andrea”, mentre siamo assieme, che facciamo le infusioni. A Campobello no, perché io a Campobello posso essere Andrea Bonafede che lo conoscono tutti? Allora mi sono creato un’altra identità: “Francesco”, giusto? Che abita a Palermo, ma che ha una mamma e due zie anziane, malate, e ci sono badanti, sorelle, in modo… che avevo una casa qua. E mi gestivo così: io giocavo a poker, mangiavo – quello di Campobello – mangiavo al ristorante, andavo a giocare… ovviamente, quando ho fatto l’applicazione nel telefono della Bet, per giocare le partite, ci potevo andare io? Non ha senso, ci sono andato e ci dissi: “Andrè, fammi ‘sti… quantomeno il sabato e la domenica mi passo il tempo pure con le partite, giocando. E ci sono andato con lui, lui che ha detto? Ha dato il suo nome, però nel telefono che avevo io, che il telefono che avevo io era intestato a sua madre però, giusto? Una persona di 90 e rotti anni. Quindi la donna e il marito, che erano i proprietari, chi gestiva questo Bet, problemi non se ne posero, perché abbiamo detto che eravamo cugini, io venivo da fuori, senza fare nomi. E siamo diventati… io sono diventato amico di mezzo paese… Non c’erano negozi che non mi conoscevano: panettieri, fruttivendoli, supermercati… sempre al supermercato andavo, perché… però sapevo che arrivavo a sbattere, lo capivo; non è che mi sento super intelligente, non lo sono, però qualcosa della mia vita ormai… nella latitanza mi sapevo gestire, sapevo che non era per sempre questa situazione, però sapevo pure: speriamo che muoio prima, così la chiudiamo qua. Ecco qual è stata la mia… tanto io non è che ho speranze, sempre morto sono, perché non sono più operabile, penso… loro dicono massimo ancora due anni, però non ci arrivo a due, perché mi sento male, lo capisco”.

teleacras angelo ruoppolo