Dott.ssa Principato: se la sente di parlare sino in fondo della latitanza di Provenzano e di Messina Denaro?

All’indomani della cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro la trasmissione della RAI Report ha intervistato, tra gli altri, il magistrato Teresa Principato, che ha condotto delle lunghe e travagliate indagini sulla trentennale latitanza dell’ultimo dei Corleonesi.

La Principato, moglie o ex moglie di un altro famoso magistrato antimafia, ossia l’attuale senatore dei 5 Stelle Roberto Scarpinato, è stata peraltro indagata per delle presunte irregolarità inerenti proprio le sue attività investigative su Messina Denaro.

In quell’intervista di Report lei ha spiegato, dal suo punto di vista, come realmente sono andate le cose. Ha fatto riferimento agli ostacoli che ha incontrato a causa di una tentacolare rete di protezione e di depistaggi che non le hanno consentito di catturare il boss di Castelvetrano.

A gennaio dello scorso anno sia lei che il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato sono andati in pensione. Ad ottobre, sempre del 2022, si insedia come nuovo procuratore capo del capoluogo siciliano Maurizio De Lucia. A dicembre si costituisce in carcere l’ex senatore di Trapani Antonio D’Alì. Sta scontando una pena a sei anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. D’Alì, di fede berlusconiana, è stato anche per 5 anni sottosegretario al Ministero dell’Interno. Il suo storico campiere di famiglia era Don Ciccio, il papà di Matteo Messina Denaro, uomo di fiducia del capo dei capi Totò Riina.

Dopo l’arrivo del nuovo procuratore della Repubblica di Palermo De Lucia e l’arresto del potente D’Alì,  finalmente, dopo trent’anni di dorata latititanza, viene catturato Messina Denaro.

Questa è la sequenza dei fatti relativi alla cattura soft di un boss peraltro ammalato di tumore, di un boss in fin di vita. Non possiamo essere tacciati di malignità se poi sosteniamo che Messina Denaro si è consegnato, visto che è stato  arrestato mentre si faceva i self con i medici che lo avevano in cura presso la clinica Maddalena di Palermo, e mentre chattava con le sue numerose amiche.

Questa rievocazione della storia relativa alla cattura dell’ultimo pericoloso ‘latitante di Stato’, se proprio vogliamo mutuare il titolo del libro che il giornalista Marco Bova gli ha dedicato, potrebbe essere utile a spiegare cosa è successo, non solo in questo caso, ma anche in altri casi analoghi.

Ci riferiamo oltre che alle lunghe latitanze assicurate grazie ad indecifrabili coperture istituzionali, agli arresti volutamente mancati, con tanto di vittime sacrificali. Poliziotti infiltrati uccisi, quali Agostino, investigatori indagati, arrestati e processati ingiustamente, quali il colonnello dei carabinieri Michele Riccio.

Fedeli servitori dello Stato perseguitati sol perché facevano correttamente il loro dovere. Ci riferiamo anche ai collaboratori di giustizia fatti uccidere, quali Gioé ed Ilardo ad esempio, perché rivelavano delle verità scomode e scottanti. E poi cosa dire degli arresti rocamboleschi, di mancate perquisizioni di covi, di boss che prima si pentono e poi si consegnano, o delle scarcerazioni sospette di assassini che hanno confessato più di 150 omicidi.

Insomma ce n’è per tutti i gusti e per tutti i disgusti.

Ritornarnando a dove siamo partiti potremmo dire, senza saltare di palo in frasca, che la Dott.ssa Principato ha lavorato a stretto contatto con il Dott. Pignatone, attuale presidente del tribunale del Vaticano, il cui incarico più prestigioso, prima di andare in pensione, è stato quello di Procuratore di Roma; l’equivalente di un paio di Ministeri, direbbe Luca Palamara, il magistrato posato dal CSM, ed ex plenipotenziario dell’Associazione Nazionale dei Magistrati. La Principato non ha mai criticato l’operato del suo collega più anziano, al centro di tante vicende controverse. L’archiviazione del dossier mafia-appalti, di cui si erano occupati Falcone e Borsellino prima di morire, chiesta  anche dal marito della Principato, Roberto Scarpinato, il 14 agosto del 1992, è una di queste storie giudiziarie assai controverse in cui era coinvolto, seppure di striscio il Pignatone. In quell’inchiesta dei ROS compariva anche il nome del padre di Pignatone, allora presidente di una società pubblica della Regione Siciliana, l’ESPI, che operava assieme alla SIRAP di Siino e Ciancimino. Uno dei mega appalti nel mirino degli investigatori, del valore di mille miliardi di vecchie lire, era quello relativo alle opere di urbanizzazione delle aree industriali pubbliche. Anche la Procura di Caltanissetta si interessó allora di questa storia, avviando un’indagine, poi archiviata, per fuga di notizie, a carico di alcuni magistrati palermitani, e tra questi pure Pignatone.

Sempre la Principato era stata incaricata, dall’allora procuratore della Repubblica di Palermo Giancarlo Caselli, di seguire l’inchiesta del colonnello Riccio che aveva scoperto il covo di Bernardo Provenzano. Nel momento in cui Riccio informò la Procura palermitana di avere individuato il covo dove viveva Bernardo Provenzano, né Pignatone e né la Principato hanno mai chiesto ai Ros perché non intervenissero. E fu così che Provenzano rimase indisturbato per altri 6 anni nello stesso posto. Cose che sono state riferite, successivamente, da diversi collaboratori di giustizia. La Principato è anche colei, sebbene lo sapesse, come segnalato sempre da Riccio in due immediate relazioni di servizio, chi fossero i favoreggiatori del Provenzano. Nessuno ritenne opportuno anche in quel caso di avviare alcuna indagine, per almeno due anni. E quando decisero di indagare e disposero una perquisizione a casa di Giovanni Napoli, uno dei  favoreggiatori, furono trovati strumenti atti a rilevare la presenza di microspie. La Principato glieli ha restituiti ai familiari. Tutto quello che stiamo riportando in proposito è emerso in piu’ processi. La Principato è anche colei che era presente all’incontro con il collaboratore di giustizia Luigi Ilardo, assieme ad altri suoi colleghi Magistrati. Incontro avvenuto a Roma, dove le dichiarazioni di Ilardo non furono verbalizzate. Si trattava di 4 ore di interrogatorio, di cui non vi è alcuna traccia cartacea. La Principato asserì di aver preso degli appunti, a suo dire, poi persi durante un trasloco…  .

Ilardo fu poi mandato a Catania senza alcuna protezione e dopo pochi giorni ucciso…  .

Per ultimo, si legga quanto dichiarato dal finanziere Carlo Pulici, che ha lavorato per 10 anni a stretto contatto, come assistente della Principato, presso la Procura di Palermo. Carlo Pulici come Riccio e come Giocchino Genchi, quando era diventato scomodo per lo schifo che aveva visto, è stato denunciato e allontanato per una fesseria, non vera, e poi assolto da tutte le accuse che gli sono state falsamente mosse. È stato poi  abbandonato da tutti alla Procura di Palermo. Dai Pignatone, dai Caselli e da molti altri. Poi, nel momento in cui ha richiesto i suoi PC personali, dove erano contenute tutte quante le notizie relative alle indagini fino ad allora da lui condotte su Matteo Messina Denaro si è accorto che erano spariti. Si trattava di computer che erano chiusi nella stanza della Principato e che non ha più trovato. Gli sono stati sottratti e non si è mai saputo chi li avesse presi…  .

Calogero Pulici ha denunciato la sparizione dei suoi PC personali che si trovavano nella stanza della Principato. Ad oggi questo furto, avvenuto all’interno della Procura di Palermo, non ha colpevoli. Mentre a lui lo hanno massacrato e allontanato da quella Procura, con accuse inesistenti, a colpi di processi montati ad arte. 

E qui, per ora, solo per ora, ci fermiamo…

Link relativo al video di Radio Radicale riguardante la presentazione a Grotte (AG), l’8 settembre del 2022, dei libri: ‘Il Sistema Montante’ dell’ex sindaco di Racalmuto Salvatore Petrotto e ‘Matteo Messina Denaro – Latitante di Stato’ del giornalista e scrittore Marco Bova:

http://https://www.radioradicale.it/scheda/677934

Grotte 8 settembre 2022: fotogramma del video di Radio Radicale relativo alla presentazione dei libri: ‘Il Sistema Montante’ di Salvatore Petrotto e ‘Latitante di Stato’ di Marco Bova.
Da sinistra: Marco Bova, il finanziere Pulici, il giornalista Arnone, l’allora presidente della Commissione Nazionale Antimafia Morra, Petrotto e l’avvocato Francesco Menallo