Arrestata la giudice Silvana Saguto. C’era un “sistema” o era ancora il “covo di vipere”?

A seguito della sentenza parzialmente definitiva della Cassazione è stata arrestata e tradotta in carcere l’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, Silvana Saguto.

La Procura generale di Caltanissetta ha infatti ritenuto esecutiva una parte della sentenza di condanna in danno della Saguto per corruzione e concussione emessa dalla Cassazione, che però aveva annullato con rinvio una parte delle condanne, disponendo un nuovo processo d’appello.

In carcere anche il marito della ex giudice, Lorenzo Caramma, l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara e il professore della Kore di Enna Carmelo Provenzano.

In secondo grado alla Saguto erano stati inflitti 8 anni 10 mesi e 15 giorni, 6 anni e 2 mesi al marito, 7 anni e 7 mesi all’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, e 6 anni e 8 mesi a Carmelo Provenzano, professore dell’Università Kore di Enna.

Un procedimento penale nato dalle indagini sulla gestione dei beni confiscati alla mafia, “30 miliardi di euro nelle mani di pochi”, aveva denunciato Pino Maniaci ai microfoni delle Iene.

L’interessamento giornalistico di Maniaci in merito alla gestione dei beni confiscati fu tale che per la Saguto divenne una vera e propria ossessione, tanto da interessarsi per sapere quando lo avrebbero arrestato per un’accusa di estorsione semplice ai danni di due amministratori comunali, dalla quale venne poi assolto.

Inquietanti le parole della ex giudice, che nel lagnarsi per il ritardo dell’operazione che gli avrebbe tolto dagli zebedei quello “stronzo di Telejato (Maniaci –ndr) che evidentemente se la prende con il sistema”.

Il giorno successivo alla messa in onda del servizio delle Iene la Guardia di Finanza intercettò telefonate della Saguto e i tentativi da parte del “sistema” di crearle una rete di protezione.

Diversi furono i nomi dei personaggi che vennero fuori dall’inchiesta de Le Iene grazie alle intercettazioni in loro possesso, tra i quali quello dell’ex prefetto Cannizzo (condannata in secondo grado a tre anni) che diceva alla Saguto “o ci riusciamo noi a farti questa ‘rete di protezione’  o se no è inutile. Noi Istituzione siamo. Domani ne parlo con Pignatone”; quello del Colonnello della DIA Rosolino Nasca (condannato in secondo grado a quattro anni), che a dire della Saguto avrebbe parlato con uno di Repubblica e con giornalisti che avrebbero scritto articoli in favore della giudice.

C’è da esultare per l’arresto della ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo?

Non esulta Pietro Cavallotti, che quattro anni fa con un post su Facebook narrò il calvario della sua famiglia di imprenditori distrutti da un’accusa di mafia, che si videro confiscati tutti i beni, e che oggi scrive:

La Saguto con le sue azioni ha rovinato la vita ti tante persone e alla fine ha rovinato anche la sua. Eppure, non c’è alcuna soddisfazione. Il carcere è il degrado assoluto della società e chi lo ha subito da innocente non lo augura a nessuno.

Quello che vogliamo è solo che venga cambiata la legge. La giustizia non è il carcere per la Saguto. Questa è vendetta. La giustizia è quando lo Stato pagherà i danni e restituirà il patrimonio a quegli innocenti a cui è stato rubato”.

Restano però le parole della Saguto su un “sistema” che certamente andava ben oltre la vicenda processuale della ex magistrato e degli altri condannati.

Un “sistema” che ha permesso quella gestione dei beni confiscati che ha portato in carcere l’ex giudice, tollerando che per paura si evitasse di perseguire i mafiosi, quelli veri.

Nel corso di una conversazione tra la Saguto e l’ex prefetto Cannizzo, emerge infatti come la prima fosse a conoscenza di beni che – a suo dire – andavano sequestrati a Giovanni Brusca.

Una vicenda della quale avrebbe parlato anche con un collega.

Ma il nome di Brusca faceva paura: “Io non è che mi voglio fare sparare. Non lo posso andare a dire al sostituto procuratore “guarda che Brusca c’ha mezza Piana (degli Albanesi) e gli avete sequestrato una cosa sola”.

Più sconcertante ancora la telefonata intercorsa con l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, al quale confermava di sapere molte cose che riguardano Brusca a Piana degli Albanesi, aggiungendo: “Tu mi credi che io non gliele vado a raccontare perché questi fanno uscire che l’ho dette io… sicuro… Sta finendo la pena, altri due giorni e questo va girando e per giunta si è tenuto il patrimonio. È sicuro che se vado a dire: ‘Guarda, questo negozio è suo, questa cosa è sua, questa casa è sua’, quelli glielo andranno a dire”.

Il timore era dunque che ciò che avrebbe narrato al sostituto procuratore, sarebbe arrivato alle orecchie di Giovanni Brusca.

Un timore che ricorda le parole di Paolo Borsellino, quando riferendosi alla Procura di Palermo la definì “un nido di vipere”.

Nell’assordante silenzio degli organi inquirenti palermitani dopo le denunce giornalistiche di Pino Maniaci in merito alla gestione dei beni confiscati, l’unica voce che si fece sentire fu quella della dottoressa Claudia Rosini, che proprio durante quel periodo era alla Sezione Misure di Prevenzione della quale era presidente la Saguto.

Non era una campagna basata su suggestioni, su chiacchiericci – dichiarò in merito alle denunce di Maniaci, nel corso di un’intervista, la dottoressa Rosini – era molto precisa. Si facevano nomi, cognomi… poi si cominciò a parlare di liquidazioni… si cominciò a parlare insistentemente dell’avvocato Seminara… e quindi cominciò a significare qualche cosa di importante nell’evoluzione del nostro lavoro” – nonostante ciò, non accadeva nulla. “Nessuno diceva una parola, non c’era nessuna risposta, nessuna presa di posizione […] mi dicevano ‘che dai credito a Maniaci? Una fonte squalificata’. Ci fu un silenzio assordante. C’era un presidente del Tribunale… non disse una parola… non ci convocò mai, non chiese mai nulla. Andava affrontata secondo me…

Non si può certo gioire per la carcerazione di qualcuno, ma una domanda dobbiamo farcela:

La paura della Saguto a parlare di Brusca perché questi ne sarebbe stato informato; l’agendina dalla stessa mostrata in aula, che a suo dire conteneva i nomi di tutti i colleghi che le chiedevano favori; il silenzio su ciò che denunciava Maniaci – e il tentativo di screditarlo – come affermato dalla dottoressa Claudia Rosini, era parte del “sistema”, o a distanza di oltre 30 anni dalle parole di Paolo Borsellino qualcosa di quel “nido di vipere” ha continuato ad esistere?

Gian J. Morici