Condannato il presunto “postino” di Messina Denaro, ma non è mafioso

Il Tribunale di Palermo ha condannato Andrea Bonafede, l’operaio comunale presunto “postino” di Matteo Messina Denaro. Non addebitato il reato di associazione mafiosa.

I pubblici ministeri di Palermo, Gianluca De Leo e Piero Padova, a conclusione della requisitoria, hanno invocato la condanna a 13 anni di carcere a carico di Andrea Bonafede, 53 anni, operaio del Comune di Campobello di Mazara, cugino e omonimo del geometra di 59 anni che ha prestato la propria identità a Matteo Messina Denaro. Sarebbe stato lui, il Bonafede di 53 anni, arrestato dai Carabinieri del Ros lo scorso 7 febbraio, a ritirare le prescrizioni mediche del dottor Alfonso Tumbarello per farmaci, esami clinici e ricoveri destinati a Messina Denaro. E lui avrebbe consegnato al medico i documenti sanitari ricevuti dal boss nel corso delle cure. A Bonafede, giudicato in abbreviato innanzi al giudice Rosario Di Gioia, sono stati inizialmente contestati i reati di favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravati dall’avere favorito Cosa Nostra. Poi la Procura ha appesantito il capo d’imputazione, appesantendo di conseguenza la pretesa di condanna a 13 anni di reclusione, ritenendo Bonafede non solo un favoreggiatore di Matteo Messina Denaro, uno come tanti altri, ma un associato a Cosa Nostra. I magistrati inquirenti hanno depositato nuovi atti da cui emergerebbe che Andrea Bonafede non si sarebbe limitato a ritirare le ricette dal medico Alfonso Tumbarello, ma sarebbe stato al tempo stesso uno dei riferimenti di Messina Denaro per le sue attività, come mantenere i contatti sul territorio e continuare ad esercitare il potere. Il giudice Di Gioia non ha condiviso tale tesi, e ha condannato Bonafede, difeso dall’avvocato Tommaso De Lisi, a 6 anni e 8 mesi di reclusione, addebitandogli solo i reati di favoreggiamento e procurata inosservanza di pena, aggravati dall’avere favorito Cosa Nostra.

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