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L’ispettore generale: cosa è cambiato tra la Russia zarista e la società attuale?

di Francesco Principato Foto di Diego Romeo

Il Grottesco Paradosso di Gogol e e il Realismo amaro di Papaleo al Palacongressi di Agrigento

L’ispettore generale, commedia di Nikolay Vasilevic Gogol, debuttò nel 1936 a San Pietroburgo e la satira al sistema messa in scena non fu gradita alla classe dirigente zarista, tanto meno ai letterati di regime: chi lo giudicava un esagerato del paradosso e chi invece lo riteneva un esponente del nascente realismo. In questa elaborazione scenica del regista Leo Muscato protagonista è Rocco Papaleo, un podestà molto realistico nella sua preoccupazione di ricevere l’ispettore mandato nella sua piccola provincia russa. Per preparare l’ispezione il capo dell’amministrazione raduna tutti i notabili a capo dei vari settori, e in questa galleria di personaggi viene fuori tutto il grottesco, tutto il paradosso, tutta la satira presente nella tematica di Gogol. 

Adattamento snello  e recitazione misurata

La riduzione dei cinque atti originali in due ore di recitazione intensa e le rappresentazioni mai eccessive, lasciano al pubblico la possibilità di esprimere l’ilarità provocata dai personaggi emblema della inadeguatezza della burocrazia al potere:  il direttore delle scuole che sfoggia ignoranza, il responsabile delle cure mediche che non riconosce alcun malato e la sua assistente che non parla la stessa lingua, il giudice che applica condanne e assoluzioni in virtù di cacciagioni e pellicce che riceve in regalo, il dirigente postale sempre attaccato alla bottiglia di vodka interpretano i propri ruoli con divertente caricatura,  con vitalità e brillantezza scenica, senza però generare macchiette stucchevoli. In questo gli attori Marco Vergani, Gennaro Di Biase e Elena Aimone, Marco Gobetti e Marco Brinzi si sono dimostrati bravi e attenti.

Papaleo maestro di maneggio e Daniele Marmi ispettore ignaro

Tocca al podestà istruire i suoi collaboratori amministrativi su come tenere l’ispettore all’oscuro dei maneggi, delle corruzioni, delle vessazioni nei confronti dei cittadini ma il problema è come individuare il funzionario incaricato della verifica. La rivelazione arriva da due sedicenti possidenti che lo riconoscono in un giovane viaggiatore molto vizioso, tale Clestakov, che sosta in locanda perché ha perso al gioco i soldi per proseguire il viaggio. A lui si rivolgono per cercare di ammorbidire i giudizi da rapportare a San Pietroburgo, a lui si prostrano tutti, a lui porgono la conta della mazzetta. Perfino moglie e figlia del podestà si offrono in sacrificio addirittura in rivalità fra loro: nemmeno la intima onestà familiare appare immune dalla immoralità. A questo punto Clestakov, un ottimo Daniele Marmi, entra nel ruolo di ispettore e sguazza in questi panni.

Dall’ironia alla comicità in un crescendo di ilarità

In una sfilata di personaggi, diventati caricature pur di conservare la corrotta impunità, si vede quel teatro del paradosso di Gogol, quel teatro grottesco che riesce a divertire pur mettendo in scena argomenti drammatici. Clestakov da giovane sprovveduto si trasforma impersonando appieno il conveniente ruolo di ispettore complice e corrotto, incassa soldi e favori, anche delle donne del podestà (le brave Marta Dalla Via e Letizia Bravi). Garantisce impunità ai funzionari e carriera immediata nella capitale al corrotto e ignavo capo della sperduta provincia.

Il sorriso amaro della satira di costume sempre attuale

Ma Rocco Papaleo non sembra così soddisfatto, non appare felice della riuscita messinscena ai danni dell’ispettore. La sua recitazione poco allegra, meditativa, misurata, quasi insolita per come ci ha  abituati la sua verve comica, lascia il pubblico mai completamente rallegrato,  mai spensierato. E’ la sua recitazione che inevitabilmente ci porta a riflettere: cosa è cambiato fra la Russia zarista e la società attuale? Come è cambiata nei secoli la burocrazia? Ma è cambiato qualcosa? Ridiamo in teatro sì, ridiamo di ieri ma non riusciamo a rallegrarci appieno. E’ proprio questo che Papaleo sembra voglia trasmetterci.

E poi arriva il finale, c’è un altro ispettore in arrivo, quello vero ma non sappiamo se sarà l’ultimo, se sarà mai l’ultimo. Non lo sarà, lo sappiamo e ci prepariamo, ma non stiamo pensando alla Russia zarista.

Usciamo dal teatro pensando alla rassegna stampa letta da poco: Schifani che manda l’ennesimo ispettore nelle ASP, Donzelli che cala in Sicilia a ispezionare il suo partito, come ha fatto anche la Schlein. Ogni giorno arrivano ispettori a controllare gli incaricati: nelle amministrazioni, nelle banche, nei tribunali. Arrivano gli ispettori a controllare gli stessi burocrati incompetenti messi lì da chi manda gli ispettori. E non importa se si tratta di enti da cui dipende la vita o la morte dei cittadini o di enti che si occupano di palchi e platee. Basta poco per scrollarsi responsabilità e mettere a tacere dissidenti: ispettori e commissari per qualsiasi cosa in ogni momento. E se non basta ancora magari poi ci saranno gli ispettori a ispezionare gli ispettori e anche loro riceveranno quei personaggi sempre più macchiette, molto più di quelle ideate da Gogol.

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